Federico Bellone, coadiuvato alla regia da Chiara Vecchi, che ne cura anche le coreografie, ricostruisce la magia di Anastasia, prima film d’animazione e poi opera teatrale voluta da Broadway.
“Ci fu un tempo, non molti anni or sono, in cui vivevamo in un mondo incantato fatto di eleganti palazzi e di feste grandiose. L’anno era il 1916 e mio figlio Nicola era lo zar di tutte le Russie. Stavamo festeggiando il trecentesimo anniversario dell’ascesa al trono della nostra famiglia, e quella sera nessuna stella era più brillante della nostra dolce Anastasia, la mia più giovane nipote”.
La nonna di Anastasia
Spesso la storia e vita viaggiano sullo stesso binario.
Talvolta la storia, quella che Fëdor Michajlovič Dostoevskij chiamava profonda indagine umana, si concentra spesso sulle tensioni tra bene e male, libertà e predestinazione.
Altre volte la vita fuoriesce, senza perdere il contatto con gli eventi storici, ma imboccando percorsi laterali, collocati ai margini, rimasti in ombra.
Sono vite raccontate, sospese tra avventure e sventure, illuminate quando il potere si accanisce su di esse o, al contrario, quando, improvviso, allenta la sua presa.
Vicende strappate alla notte e al mistero, ma non ancora emerse alla luce del giorno, forse rivissute da narratori o da registi, fino ad arrivare su i palchi dei teatri di mezzo mondo.
A tutto ciò ci fa pensare al musical straordinario, Anastasia, tratto dal film di animazione del 1997 diretto e prodotto da Don Bluth e Gary Goldman, che ha debuttato al Broadhurst Theatre di Broadway il 24 aprile 2017, con le musiche di Lynn Ahrens e Stephen Flaherty ed il libretto di Terrence McNally, e reso magico per la versione italiana dal regista Federico Bellone, coadiuvato da Chiara Vecchi, che ne cura anche le coreografie.
Straordinario perché attraverso, il racconto, fedele e commosso delle vicende di Anya, una giovane donna che potrebbe essere la Granduchessa Anastasia, l’unica sopravvissuta alla tragica fine della famiglia Romanov, riesce a fornire uno spaccato della storia russa dell’inizio del Novecento.
In quelle vicende disordinate, la Rivoluzione Russia non scompare, si frammenta in episodi, schegge, lampi che restituiscono il profilo allo stesso tempo pubblico e privato.
I protagonisti sono esuli, filosofi, operai, maestri di musica, ladri, preti, poeti, gerarchi della nuova rivoluzione, e aristocratici decaduti. Donne e uomini comuni, colti in un momento di paura, coraggio, rabbia, cedimento, piegati al dolore o riscaldati da una scintilla di felicità.
Una storia, più che dei fatti dell’anima di una Russia intesa come comunità emotiva, in cui la vita tentenna come “un tremolio di vetri nelle sale da ballo scintillanti dei palazzi reali, durante gli scoppi della rivoluzione.”
Poi i luoghi ottocenteschi, anch’essi disseminati in spazi temporali, riconducibili ad una mappa di una carta geografica, o rapportati ad una medesima architettura, piuttosto fiabesca, ricreata dalla competentissima Clara Abruzzese. Ma anche macchie di colore colte, non da una macchina da presa, ma da uno sguardo e una penna capaci di fissarne il significato, come accade grazie alla visione di Carla Ricotti, appassionata costumista che ha firmato numerose produzioni in numerosi teatri, di tutto il mondo.
E poi i tempi della leggenda della “principessa” in cerca di sé stessa, interpretata da una talentuosa Sofia Caselli, che canta, balla e recita in modo unitario, tra un Russia imperiale dei Romanov, fatta di luci e ombre, che oggi continua apparire sui mass media, e una Parigi movimentata da valzer, can can, ed incontri rivelatori.
Un musical che spazza via ansie, paura e lutti, aprendo una finestra sul futuro di quelle due discipline affini, musica e teatro, che sono in grado di rivelare ad ognuno di noi i sentimenti e il vissuto umano, sia nei lati positivi, sia in quelli seriosi e introspettivi.
Di Alberto Corrado