@eleonora-francesca-grotto
Il saggio “L’asino mancino” – Archeologia di una educazione – di Paolo Vittoria per edizioni Bibliotheka, percorre la fotografia impietosa e lucidissima dell’attuale modello di scuola. Vivamente sconsigliato a chi non ha la fantasia per immaginare che il ragazzo dell’ultimo banco possa un giorno diventate professore.
Quando uno dei maggiori studiosi di Paulo Freire a livello internazionale, prende la penna e scrive, qualcosa scatta in lui.
Paolo Vittoria, l’ha fatto più volte: Pedagogie della liberazione con Antonio Vigilante, per edizioni del Rosone, un generoso libro che poneva l’accento sulla pedagogia sociale, dando risalto a esperienze, che hanno il potenziale di trasformare le vite delle persone e delle loro società.
Ma ci aveva regalato anche altri titoli felici, tra cui “L’educazione è la prima cosa. Saggio sulla comunità educante” per la Società Editrice Fiorentina, o “Paulo Freire. Un alfabeto di speranza “per tab edizioni, tradotto in varie lingue.
“L’asino mancino” appena finito di stampare nel maggio 2024 da Bibliotheka, sono infinite riflessioni su quella archeologia educativa, che marchia lo svogliato e qualche volta anche il soggetto mancino, come il somaro della classe, che sceglie sempre l’ultimo banco, proprio all’angolo, dove le due pareti possono sorreggere meglio il collo, l’ideale per assopirsi.
Sta tutto nell’aggettivo “mancino” che Paolo Vittoria, poliglotta, oltre la sua lingua madre, parla e scrive fluentemente inglese, portoghese e spagnolo, viaggiatore e ricercatore di quella educazione dialogica, che si ritrova nel teatro sociale ed educazione interculturale, intende con questo saggio mettere in evidenza quella scuola, che non riesce in alcun modo ad accendere all’asino di turno la minima curiosità, e come spesso accade, destinato a cambiare pelle, se il destino lo fa incontrare con un vero professore, proprio come il Pinocchio di Collodi.
Una scuola che non conosce le regole, che è l’opposto di quel modello ossessionato dal mercato, dalla tecnologia, dall’ideologia del merito e dalla retorica dell’eccellenza.
E ci spiega, come quella scuola che porta spesso i ragazzi a vivere ansie e frustrazioni e si limita a diagnosticare e certificare deficit di attenzione, dovrà cambiare aspetto, perché il ragazzo dell’ultimo banco possa un giorno sedere in cattedra e prendere la parola. E qui che scatta quel diritto a sopravvivere come patrimonio sociale collettivo. Un saggio che tutti i docenti dovrebbero mettere in borsa e leggerlo come una bibbia prima di entrare in classe.
Di Alberto Corrado