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Alessandro Masi per Neri Pozza con “Vita maledetta di Benvenuto Cellini” ripercorre l’esistenza dell’artista manierista, protagonista di una stagione di violente passioni politiche e artistiche.

«Tutti gli uomini di ogni sorte, che hanno fatto qualche cosa che sia virtuosa, doverieno, essendo veritieri e da bene, di lor propria mano descrivere la loro vita»

Benvenuto Cellini, Vita, proemio

Con l’umiltà del cattolico devoto, ma anche con una punta di civetteria intellettuale, Benvenuto Cellini, il grande orafo (Firenze, 3 novembre 1500 – Firenze, 13 febbraio 1571), scrittore italiano, si era dichiarato sicuro, già negli anni della sua giovinezza, che le sue opere non saranno mai state dimenticate, neanche dopo la sua morte. E lo dimostra la cura con cui la memoria dell’orafo e scultore e i suoi scritti sono custoditi: prima dagli allievi diretti; poi da una nuova generazione di ricercatori e studiosi, a cominciare da Giorgio Vasari che lo descriveva “Animoso, fiero, vivace, prontissimo e terribilissimo” allo scrittore Filippo Baldinucci che affermava “Ardito nel parlare e incline a menar le mani e usare la mazza tonda con tutti” fino Alessandro Masi, storico dell’arte contemporanea e segretario generale della Società Dante Alighieri, che ha proposto una pubblicazione “Vita maledetta di Benvenuto Cellini”  edito da Neri Pozza, mettendo a frutto le suggestioni derivate dalla sua vita, densi di colpi di scena.

Statua di Benvenuto Cellini, Loggiato degli Uffizi, Firenze
Ritratto di Benvenuto Cellini alla Biblioteca Nazionale di Vienna

Alessandro Masi, specialista nell’elaborare e dare luce ai volti del grande panorama artistico italiano, ricordiamo “L’artista dell’anima. Giotto e il suo tempo” sempre edito da Neri Pozza sulla figura di Giotto, ha colto bene l’aspetto caratteristico della personalità di Benvenuto Cellini: il suo essere non solo uno dei massimi esponenti del manierismo, ma altresì un uomo dalle forti passioni civili. Fino a pagare il prezzo della sua intransigenza morale e politica. Uno artista, ma anche storico del suo tempo, molto attento al destino della democrazia. Così, dopo varie esperienze in quella Roma pontificia retta da Paolo III, emigra in terra francese alla corte di Re Francesco I di Francia dove gli garantì una provvisione annua di settecento scudi e una dimora al Petit- Nesle, sulla riva sinistra della Senna. Solo dopo alcuni dissapori sorti con vari cortigiani e soprattutto di “certe magagne che a torto m’erano aposte” (espressamente taciute sia nella “La Vita di Benvenuto di Maestro Cellini fiorentino, scritto, per lui medesimo, in Firenze” poi stampata postuma a Napoli nel 1728 che altrove) rientrò a Firenze al servizio dei Medici.

Proprio tutta la sua attività sia orafa sia da scultore è presente in questi incalzanti capitoli dell’opera di Alessandro Masi, in cui si può cogliere la modernità dei suoi pensieri. A cominciare dal suo europeismo e nel creare raffinate opere che costituiscono una fonte per la ricostruzione del complesso rapporto degli artisti con i mecenati. Ad Alessandro Masi il compito di narrare amori scabrosi, frequenti risse, l’episodio del Sacco di Roma del 1527, durante il quale Benvenuto Cellini difese eroicamente le mura di Castel Sant’Angelo, quella stessa fortezza in cui più tardi, dopo l’ennesimo inconveniente con la giustizia, si troverà ad essere rinchiuso e dalla quale riuscirà ad evadere rocambolescamente. Un romanzo narrato con lucidità, in quella prospettiva di inarrestabile cammino ascendente del sapere umano, tanto caro allo stesso Benvenuto Cellini.

Di Alberto Corrado