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La collezione N°26 di Giambattista Valli Haute Couture ci regala una lezione poetica dei fiori e dell’incantevole natura che ci circonda.

 

La nuova ed eterea collezione N°26 di Giambattista Valli Haute Couture che ha sfilato a Parigi è difficile da catalogare: viene presentata come un’ode ai fiori e alla natura, ma è costruita attraverso divagazioni, intuizioni e assonanze che possono apparire spiazzanti, ma che a una lettura approfondita rivela un qualcosa di nuovo, delineando un prezioso ritratto del couturier.

Sincero alle sue linee, Giambattista Valli mescola ricordi e riflessioni del suo passato in un racconto infinito mai finito, rivelando fin dalle prime uscite che le passioni artistiche rappresentano la sostanza della sua stessa esistenza, quindi di confidenze e confessioni di elementi di comunione in grado di esorcizzare quella “the unfinished beauty of infinity”.

Non sorprende che per questa collezione abbia lavorato su spumeggianti volumi grazie all’uso del tulle, ispirati dai fiori ancora freschi di rugiada e dal potere taumaturgico appena qualcuno li osserva, prima ancora di reciderli e metterli in un vaso di cristallo, per fermare solo per un breve istante la bellezza della natura e del nostro creato.

Una amplificazione di quello, che appare sotto i nostri occhi ogni mattina quando apriamo gli occhi e guardiamo un vaso colmo di fiori o ci affacciamo da una finestra a guardare un tappeto verde di un prato fuori dall’ordinario, per emozionarci e viaggiare con la mente. Un incanto che ha rapito lo stesso Giambattista Valli tale da creare una collezione stupenda dove le sue creazioni sono vere opere d’arte, in cui le forme prendono vita attraverso il drappeggio o i volumi, plasmati ascoltando ciò che i tessuti sussurrano.

© Christina Fragkou

Per il couturier romano l’arte del creare una collezione sta nel gesto e nell’abilità tecnica delle maestranze dell’atelier, che trasformano tutto in un’opera magica, che esisterà per sempre.

Questa favola ha avuto una prima apparizione con un body bustier in velluto di seta, con uno scollo impreziosito da rose bianche, che si sono ripetute come protagoniste anche negli intrecci dei capelli o in cascate cadenti sul corpo di alcune modelle eseguite dall’hair stylist Pier Paolo Lai per decretare quella aria di romantica bellezza preraffaellita.

© Armando Grillo
© Armando Grillo

In seguito il défilé proseguiva con abiti senza spalline ricamati da una pioggia di cristalli, con strascichi di tulle, fiocchi in taffetà, maniche a palloncino, mantelle increspate, tute in paillettes jacquard iridescenti in un exploit di colori dei più bei fiori che la natura ci omaggia: dal ciclamino al mandarino, dal rosso al viola, dal rosa al verde prato, fino alla sinfonia del nero ossidiano accostato all’avorio.

Un inno alla potenzialità del corpo ammantato dalla sperimentazione dei volumi e dei ricami che stupiscono, ed evolvono come una decorazione organica che fa parte della materia naturale di una silhouette.

Una sorta di blooming della silhouette, mantenendo la leggerezza della materia proprio come un fiore che nasce, si trasforma e inizia a sbocciare.

Un viaggio rapsodico con un climax finale dove Giambattista Valli mette a nudo la propria anima poetica nel creare quel sogno di ogni sposa che ama volumi, fiori con l’abito da sposa Davika in tulle ed interamente ricamato con ghirlande e micro-paillettes.

Di Alberto Corrado