Credits Ph Dolo Iglesias
L’olandese Jan Brokken ci racconta nel suo romanzo “La Suite di Giava” edito da Iperborea, il vissuto dei suoi genitori in Indonesia. Soffermandosi sui i sentimenti di dolore e perdita come un climax musicale che si infrange e si ricompone.
“Tua madre è stata l’unica che ha avuto il coraggio di volare via come un uccello”. Da quel momento notai che gli uccelli non si girano mai indietro quando volano via”.
Jan Brokken, La Suite di Giava
È un dovere sacrosanto non fare spoiler, non rilevare il finale o gli snodi di una trama principali di un romanzo.
In questo caso a essere fondamentale e sorprendente è piuttosto la struttura, e non parlarne sarebbe impossibile.
Nelle prime pagine di “La Suite di Giava”, edito per Iperborea, Jan Brokken, scrittore e viaggiatore – noto per la capacità di descrivere le vite di personaggi fuori dall’ordinario, racconta come la storia di Olga, sua madre che poco più ventenne, si trasferisce con il marito Han in Indonesia, allora colonia olandese. Lì trascorre dieci anni, tra Giava e Sulawesi per poi tornare nei Paesi Bassi solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, con due figli al seguito. Successivamente nel 1949 darà alla luce lo scrittore Jan Brokken.
Il romanzo è una successione di increspature come le onde del mare o del destino, grazie alle lettere ereditate dalla zia, che Jan Brokken ricostruisce la storia intima di sua madre, una donna curiosa e infaticabile, che ha imparato la lingua makassar e insegnato alle giavanesi a usare la macchina per cucire. Per poi descrivere il dolore in tutta la sua accezione quella della perdita di un figlio e della prigionia in un campo giapponese. Un ulteriore passaggio emotivo che lascia nuovamente sconcertato il lettore che si unisce a quello dell’autore che rimane folgorato in una mattinata di tarda estate, da una sonata per pianoforte, ascoltata alla radio.
Di colpo c’è anche un’altra storia, dove il protagonista Leopold Godovskij “anima baltica” che dalla Lituania viaggia per l’Europa e l’America impressionando il pubblico con il suo talento di virtuoso del pianoforte, per poi arrivare ad innamorarsi della Indonesia. E qui che compone “I Giardini di Buitenzorg”, dalla suite di Giava, caratterizzata da ricche armonie cromatiche e ingegnose soluzioni tecniche, che assolvono a quella poetica descrittiva di quando una persona per la prima volta entra nei giardini botanici, situati nel centro della città di Buitenzorg, ora Bogor, a 60 km a sud-est di Giacarta, adiacenti al palazzo presidenziale. Gli stessi giardini in cui Olga, la protagonista del romanzo, amava passeggiare, ascoltando il fruscio delle palme.
Tutto il romanzo è intriso di emozione nostalgica, a cui talvolta il lettore si adagia o si smarrisce nell’esergo di culture e fedi dell’arcipelago asiatico, tra ritmi delle danze di Borobudur e i suoni del gamelan, e tra le trame di storie di scrittori e compositori, da Hella Hasse a Paul Seeling.
Tutti personaggi che hanno guardato al mondo asiatico senza l’avidità predatoria del colonizzatore, ma con la curiosità e l’apertura di un viaggiatore, proprio come Olga, donna, madre e intellettuale.
Il romanzo sperimenta ed esplora anche il lutto quello di un figlio, portando il lettore ad immergersi assieme ad Olga in un viaggio verso quella terra di nessuno prima o poi frequentata da tutti. Il ricordo della persona scomparsa diventa una sorte di idea o di sogno interno, la cui ripetizione dovrebbe svelare un significato. Invece giorno dopo giorno, aumenta la consapevolezza di quel dolore, e non resta che aspettare che passi o si attenui attraverso i sogni per rincontrare, con l’ombra dell’altro, la parte perduta di sé. O farsene una ragione facendo finta di niente, ma certo questo non è una giustificazione per il tempo che resta da vivere.
Un romanzo che merita di essere letto per quella elegia della vita che traspare attraverso i personaggi, e per l’originalità e la forza della protagonista nel dover andare avanti nella vita.
Non volevo dirvi cosa leggerete, ma cosa ho provato leggendolo, e di come ha occupato i miei pensieri nel decifrare l’ago e il filo della vita.
Di Alberto Corrado