Fernando Botero si è spento lontano dalla sua amata Colombia. La sua intera opera pittorica e scultorea rimane ai nostri occhi come la migliore lezione, libera da pregiudizi.
“Un artista è attratto da certi tipi di forme senza saperne il motivo. Prima adotto una posizione per istinto, e solo in un secondo tempo cerco di razionalizzarla o anche di giustificarla”.
Fernando Botero
Era il pittore dei difetti che diventavano pregi, questa era Fernando Botero, che si è spento nel Principato di Monaco, venerdì scorso all’età di 91 anni.
Era nato a Medellin, in Colombia, da David Botero, uomo d’affari e da Flora Angulo, di professione sarta. Fin da piccolo subisce il fascino dell’architettura barocca e delle illustrazioni della Divina Commedia di Dante Alighieri.
A 12 anni, lo zio lo iscrisse ad una scuola per toreri, dove rimase per due anni, tale che la sua prima opera riflette proprio quel periodo, un torero su acquarello, ma il ragazzo era più portato per la matita, che per la Plaza de Toros.
A 16 anni già collabora con le sue illustrazioni, per i supplementi di “El Colombiano”, quotidiano più importante della sua città natale, fino ad esporre nel 1948 per la prima volta a Medellin i suoi dipinti.
Nel 1952 vince 7000 pesos del secondo premio al IX Salone degli artisti colombiani, organizzato presso la Biblioteca Nazionale di Bogotá, con un quadro denominato “Sulla Costa”.
Investe quella somma di denaro ricevuta dal premio per un viaggio di studio in Europa. Prima tappa sarà Madrid dove visita il Museo del Prado, e conosce le opere di Francisco Goya e Tiziano, per poi proseguire per Parigi dove medita sull’arte d’avanguardia francese, e infine l’amata Italia dove entra in contatto con le maggiori opere del Rinascimento, soprattutto Giotto e Andrea Mantegna che lo ispirano particolarmente tanto da riprodurre diverse copie dei loro capolavori, pur non disdegnando gli altri autori della scuola senese, e toscana in generale.
Torna in Centro America dove si sposa con Gloria Zea, e comincia esporre le sue opere che verranno fortemente criticate dall’ambiente culturale colombiano, che in quel periodo è influenzato dall’avanguardia francese, che Fernando Botero aveva, invece respinto.
Rammaricato da questa presa di posizione critica, si trasferisce in Messico, dove scopre per la prima volta la possibilità di espandere il volume delle forme in modo molto personale, che tutti noi riconosciamo senza sapere, che quelle opere possono essere attribuite solo a lui.
Siamo al finire degli anni’50 questa sua caratteristica diviene un marchio di fabbrica, grazie anche alla scoperta dell’espressionismo astratto tale che lo riporterà a Bogotà, dove vince il secondo premio al X Salone degli artisti colombiani, ed ottenere la cattedra di pittura all’Accademia d’Arte.
In questi anni inizia lo studio di Diego Velasquez, pittore molto amato, realizzando molte versioni del “Niño de Vallecas”, dove il suo stile molto incisivo risente dell’influenza dell’espressionismo astratto.
Inizia un nuovo periodo di contestazione delle sue opere che lo portano in gravi difficoltà finanziarie, che causa anche la sua seconda rottura matrimoniale.
Agli inizi degli anni Sessanta, dopo che il Museum of Modern Art di New York decide di acquistare il suo “Monna Lisa all’età di dodici anni”, che lo fa trasferire a vivere a New York, nell’East Side.
Dal suo piccolo studio emerge il suo stile plastico dai colori tenui e delicati ispirandosi a Pieter Paul Rubens e i suoi monumentali ed esagerati nudi femminili. Qui ritrova anche l’amore sposando Cecilia Zambrano, e parallelamente anche la fama di artista, che lo porta ad organizzare mostre personali in Europa, e più precisamente in Germania, fino ad esporre regolarmente a New York e a Bogotá.
L’inizio degli anni Settanta lo porta a stabilirsi a Parigi dove si dedica alla scultura con la stessa impostazione, le proporzioni alterate dei corpi e dei volti che migrano nel bronzo, nel marmo, nella resina colata, e le sue figure corpulente cominciano a popolare grandi città come a New York dove quattordici monumentali sculture vengono posizionate lungo Park Avenue, tra la 54esima e la 61, strada, o Marina di Pietrasanta con il suo “Guerriero” in bronzo, alto 4 metri, che troneggia nella piazza centrale.
La sua arte è anche sofferenza privata, come dopo l’ennesimo matrimonio finito e la morte del suo amato figlio Pedro in un incidente stradale, al quale dedicherà molte opere.
Nello stesso evento Fernando Botero perde l’ultima falange del mignolo della mano destra e questo indurrà l’artista a scolpire spesso enormi mane.
Il suo mondo pittorico e scultoreo viene tutto inteso come una necessità interiore che lo porta ad una esplorazione ininterrotta verso il quadro ideale dove emerge quel microcosmo di grandi differenze sociali, i poveri e gli aristocratici.
Nel 2005 inizia un’altra pagina del suo ciclo pittorico che si intitola “Abu Ghraib”, esposto prima in Europa e poi negli USA, soltanto in galleria e poi Berkeley, dove si confronta con la parte più violenta della Colombia.
Un’altra chiave per farsi leggere e un’altra opportunità di confrontare, senza pregiudizio, una migliore lezione di pittura.
Di Alberto Corrado