L’esecuzione dei figli del re di Giuda, Sedecia, rappresentata nell'olio del 1787. François- Xavier Fabre
Il romanzo “Il Leone di Babilonia” di Alessandro Sponzilli, pubblicato da Leone Editore, è un tuffo nella cultura assiro-babilonese. E nei legami tra vivi e morti, tra realtà quotidiana e guerra.
“Un fratello è un amico donato dalla natura”
Gabriel -Marie- Legouvé
A volte le guerre dinastiche, gli intrighi di potere, e i tradimenti arrivano inaspettatamente, come un temporale estivo che allaga, devasta, e alla fine, riesce a restituire l’orizzonte.
Ognuno ha il suo modo di affrontare tutto questo. Ma sicuramente le filosofie orientali hanno offerto strumenti ideali per costruire storie ammantate da leggende, che risultano utili anche a chi, per la prima volta prova a leggerle.
E quel che succede col bel romanzo di Alessandro Sponzilli, Il Leone di Babilonia, ultimo di tre storie ambientate nel cosiddetto Mondo Antico, ma primo nel catalogo di Leone Editore.
Classe 1956, nato a Torino, Sponzilli ambienta la sua storia in Ectabana, Regno di Media, 600 a.C.
Diviso in undici capitoli, la storia ruota attorno a Heydar, un ragazzo di basso ceto dai rarissimi occhi azzurri.
La sua unica ambizione è conquistare il cuore di una giovane nobile. Una sera Heydar ruba un gioiello da donare all’amata. Lei, dopo, il gesto del ragazzo, promette di fuggire con lui per cominciare una nuova vita. Ma la stessa sera, al ritorno dell’incontro, Heydar viene catturato dal mercante a cui aveva sottratto il gioiello. Impossibilitato nel ripagare il debito, il ragazzo dagli occhi azzurri viene venduto come schiavo in un lontano villaggio, ai confini di Babilonia.
Passano lunghi anni, Heydar si è arreso alla schiavitù e ha ormai perso le speranze fino all’arrivo di un pericoloso leone, che spaventa gli abitanti del villaggio in cui vive, tale da chiedere aiuto ai principi babilonesi Sumulisir e Nabucodonosor.
Heydar vedendo uno degli uomini in pericolo di vita, interviene e colpisce a morte la bestia.
Il futuro re di Babilonia, Nabucodonosor II porta lo schiavo con sé in trionfo nella capitale. Da questo antefatto Heydar entra nelle vite degli altri personaggi, e li scuote, li ipnotizza con la potenza della sua astuzia per ricercare il suo riscatto e il suo destino da uomo libero.
In questo libro, i morti hanno una visibilità e una cittadinanza pari almeno, se non maggiore, di quella dei vivi.
Gli spiriti, le ombre dialogano con i viventi, appaiono a chi di loro li sa vedere, nelle sembianze di riti magici, o sotto altri auspici come l’astrologia Ma non c’è nulla di surreale in questa storia, anzi racconta con ritmo incalzante, le vicende di molti personaggi perlopiù esistiti, quantomeno citati da Erodoto: da Baltazar, che in alcuni testi ebraici lo indicano come il profeta Daniele, a Adagupi, originaria di Babilonia, fu una donna che visse sino a cento anni, padroneggiò la magia sumera, e pare sia stata la prima scopritrice dei primi strumenti, per misurare il tempo.
E fra tante guerre, e tradimenti, questo libro di spunti ne regala tanti, piccole verità sulle quali ognuno può riflettere, come un uomo si può riscattare affrontando il suo destino con determinazione.
Un romanzo storico profondo, intimo e delicato. I personaggi sono potenti e riescono, ognuno a modo suo, a ricostruire un pezzo di quel mondo antico, le difficoltà di nascere dalla parte sbagliata, i sogni, le frustrazioni che ci si porta dentro, la difficoltà di essere sé stessi di fronte alle esigenze della società che a mano a mano si evolve. Ognuno dei protagonisti, ogni sera, si ripromette di cambiare, di migliorare e di farcela. Ognuno di loro, però, viene schiacciato dal peso della vita, almeno fino a quando per destino incontrano l’amore.
Di Alberto Corrado