JULIUS-SCHNORR-VON-CAROLSFELD-LELEMOSINA-DI-SAN-ROCCO-1817-
“I racconti dei saggi pellegrini” di Edith de La Héronnière, edito da L’Ippocampo, raccontano la saggezza che richiama un “tempo di mezzo” apparentemente infinito.
“I pellegrini salgono al tempio.
A prendere congedo dal loro Signore.Nel giorno scelto per la partenza
Un’ultima ciotola di latte benedetto.
Ah, la loro gol si chiude per i singhiozzi!
Partire strazia i cuori.
S’abbracciano, s’augurano buon cammino,
Si danno coraggio.
Sofferenza intollerabile della partenza!
Dice Tuka: “Non cessano di voltarsi,
Per guardare ancora la cuspide del tempio.”
Tukararam, Canti del pellegrino
Il Medioevo è insito in noi, meglio fra noi.
Il Medioevo è intorno a noi, perché come dice la parola latina “media aetas” o “media tempestas”, più che un tempo è una deviazione dalla cultura classica, in opposizione al successivo Umanesimo e Rinascimento.
In questo senso c’è sempre un Medioevo prossimo venturo, ogni volta che ci troviamo a passare un guado di cui vediamo solo la sponda alle nostre spalle, ma non riusciamo a scorgere la riva che ci attende dall’altra parte. E ci sentiamo fuori tempo, persi in un Medioevo che ci contagia con i fantasmi del passato, e del presente in una epidemiologia dell’immaginario.
Scintille di Medioevo sono riapparse con i miasmi pandemici, resuscitando gli spettri della peste nera attraverso un introibo ab tenebras anche in versione social, riaffermando le ombre paurose di una prova generale del giudizio universale.
E che, ora come allora, la religione è la più potente fabbrica di simboli collettivi, in questo senso leggere “I Racconti dei saggi Pellegrini” di Edith de La Héronnière, edito da L’Ippocampo, con la traduzione dal francese di Vera Verdiani, è un’arma capace di parlare al cuore e alle emozioni di ognuno di noi chiuso in un lockdown del corpo e dell’anima.
Nei racconti dei Monaci d’Oriente, nelle leggende Compostellane, nei Racconti musulmani, nei racconti dei Buddisti cinesi/giapponesi, nei racconti Ortodossi russi, nei racconti Sufi, nei racconti Shintoista giapponesi, si reincarna tutta la potenza carismatica della scrittura e prende in contropiede la storia contemporanea. Dove tra paesi che richiedono l’indipendenza e nazioni in guerra, schiere di prelati che si fanno portavoce di pace, i viatores medioevali che attraversarono le strade del mondo come riders, sono il vero segno distintivo di quella fede di ieri e di oggi, che sopravvive fino ai nostri giorni.
E proprio, come oggi, in quei secoli cosiddetti bui, il rapporto con la natura e con la specie si impone in tutta la sua ambivalenza. In fondo tra l’epoca dei bestiari e quella di lupi che condividono gli spazi urbani in cerca di cibo, il passo è meno lungo di quanto si creda.
Tra il soffio creaturale di San Francesco d’Assisi che si fa amico del lupo, parte culturale della nostra identità fin dall’antichità, e “I racconti dei saggi pellegrini”, c’è un doppio filo che mette in discussione la sovranità dell’uomo sulla natura. E perfino le prediche apocalittiche che annunciano la fine del mondo riecheggiano nel millenarismo odierno, che fa del riscaldamento globale lo squillo di tromba del terzo angelo che fece cadere Assenzio, la stella ardente sulla terra, per annunciare l’apocalisse ecologica, che già vediamo in questa incandescente e glaciale estate.
Speriamo che leggendo i saggi ci possa portare conforto destando l’ipotesi che anche questa volta ci siamo sbagliati.
Di Alberto Corrado