Benvenuti all’intervento di site specific SI/LENZIO, dove Sylvio Giardina assieme ad Alessio de’ Navasques e Mina Serrano si pongono la domanda filosofica di oggi: fino a dove può arrivare l’arte visiva.
SI/LENZIO è un intervento site specific di Sylvio Giardina, che esplora l’impatto della sperimentazione tra alta moda e arti visive. Combinando memorie e pratiche dell’atelier, recuperando nei frammenti di tessuto, negli scampoli di stoffa rimasti accanto alla dimensione maestosa del vuoto e del tempo infinito, di architetture e rovine che diventano tracce mitologiche della storia dell’uomo, che ritroviamo nelle grandi volte del complesso delle antiche Terme di Diocleziano del Museo Nazionale Romano.
Il mezzo performativo è l’abito, inteso come luogo dell’abitare del corpo, attraverso la sua “agency”, capace di influenzare la vita e i sistemi sociali dell’individuo. Una sorta di scultura da viaggio o forse una macchina celebrativa che mette in scena un flusso centripeto di lavorazioni e sensazioni, reso ancora più incisivo dal mito di Persefone, Arretos Kore la ragazza indicibile come definisce Euripide, che rappresenta la vita.
Lo spirito femminile più sacro e indefinito che torna ciclicamente dagli inferi per riportare la primavera e l’estate rappresentata dalla performer spagnola Mina Serrano, che con la sua arte dialoga costantemente con folklore del suo paese d’origine e il multiforme universo visivo che spazia dalla performance art alla scultura, contaminando i confini tra le diverse discipline.
In una visione sovradimensionata che rappresenta la duplice valenze sociale, di rappresentazione e di relazione, e intima, prende vita l’unico abito scultoreo e monumentale, come flusso centripeto di lavorazioni e sensazioni.
I colori fluttuano come pennellate, stratificate nei livelli geologici di una dimensione materica e scultorea, in cui l’abito stesso a diventare supporto e installazione.
La dimensione magica del sonno raccoglie, nel silenzio di un’atmosfera iniziatica, l’archeologia di tracce e storie di tutte le donne passate dall’Atelier Sylvio Giardina in più di dieci anni di attività: dalle stoffe usate per la doppiatura, a quelle preziose della sartoria, come organza di seta, gazar, chiffon, georgette, crêpe, cady mikado, duchesse, ai pizzi francesi, con foglie di velluto, ai bagliori di fili metallici.
Un mosaico vibrante e cangiante di memorie che, nelle sfumature di collezioni passate e progetti speciali dell’autore, si ricordi /gal le rì a/ lo scorso gennaio nei saloni del piano nobile di Palazzo Farnese a Roma, conserva il segreto del rapporto tra corpo e abito, la ritualità di occasioni speciali e cerimonie familiari.
Lanciare in modo casuale sul tessuto questo archivio intimo e frammentato in un’azione di dripping, per poi ricucire queste composizioni nella stessa posizione in cui sono fortuitamente sono cadute, permette a Sylvio Giardina una libertà di azione e una messa in questione di regole e codici dell’alta moda, ma anche l’opportunità di generare fioriture e galassie, simbolo di un’eterna rigenerazione.
In un momento in cui non siamo più in grado di immaginare un mondo evocativo della couture, si veda le varie presentazioni fatte a Parigi ultimamente, è fondamentale interrogarci su come immaginarlo.
Questo ultimo progetto di Sylvio Giardina vuole mettere in discussione le modalità espressive della creazione di moda, che si libera dei tempi, modi e sovrastrutture del sistema dando una capacità profetica che allude a tutte quelle forme dell’arte che non sono ancora state sviluppate.
E la dimensione dell’Haute Couture diventa spazio libero di riflessione, dove la progettazione sartoriale si fa punto di partenza per una propria ricerca artistica. Forse sono questi i miti e le profezie di cui oggi abbiamo più che mai bisogno.
Di Alberto Corrado