Ian Griffiths ha desiderato potenziare la storia della Maison attraverso una collezione femminista, che incarna la moderna identità di genere.
Ian Griffiths, direttore creativo di Max Mara, ha scelto Blue Hall del Municipio di Stoccolma, per far sfilare la Resort 2024.
La scelta è stata motivata da due elementi, che l’edificio costruito dall’architetto Ragnar Ostberg è di ispirazione rinascimentale italiano che non è difforme dallo stile romantico nazionale svedese, e per l’annunciato solstizio d’estate, che si celebra fra poco, con il Midsommar, il folk festival nordico che si celebra proprio in questo periodo.
Un modo per enfatizzare la cultura scandinava, ma nello stesso tempo nel risaltare la totale filosofia di Max Mara, che ama quella purezza del design, che diventa magico e d’avanguardia.
Ian Griffiths, la cui erudizione è assai vasta, ha desiderato potenziare la storia di Max Mara, marchio abbigliamento esclusivamente femminile fondato da Achille Maramotti nel 1951, attraverso una collezione femminista, che doveva incarnare la moderna identità di genere.
Perciò il suo percorso è andato a ritroso nella storia scandinava, partendo dai Vichinghi, che sono stati i precursori della parità di genere nel Nord Europa, per poi arrivare a parlare della Regina Cristina di Svezia, femminista anti litteram, fino alle protagoniste progressiste di Henrik Johan Ibsen, drammaturgo e regista teatrale, che mise a nudo le contraddizioni della borghesia ottocentesca. Quest’ultimo influenzò così tanto il pensiero sociale di quel tempo, tale da attribuirgli l’invenzione del concetto di “New Woman”, che incarna il contributo della emancipazione femminile scandinava sia sul proprio ruolo sociale e anche sessuale. Per poi citare anche Selma Lagerlof, scrittrice svedese autrice di numerosi romanzi basati sulla grande naturalezza e freschezza dei personaggi, tale da portarla a vincere il premio Nobel per la letteratura nel 1909, all’età di soli 51 anni.
In questo vorticoso mélange di ingredienti storici, l’abilità di Ian Griffiths è stata di comporre un manifesto femminista dove i protagonisti erano gli abiti leggeri e affascinanti.
Un modo efficace per semplificare il nuovo indirizzo della Maison che desidera creare un’estetica mixata tra elementi folk e quelli sartoriali, che virano da hygge a pagana: dalle maniche a gigot, dalle gonne che sfiorano le caviglie, dalle cappe al gomito alle tuniche fluttuanti, lunghe e corte, impreziosite da trecce nero e avorio.
Allo stesso modo, la silhouette e lo stile austero del 1900 sono reinterpretati in chiave moderna, con arricchimenti con nappe sfrangiate o decori che richiamano il folk ma anche le atmosfere urbane.
Oltre aver visto anche molti abiti con le spalle scoperte che ricordano vagamente i quadri preraffaelliti e sono totalmente degni delle eroine del teatro ibseniano, dove la grande Eleonora Duse fu la protagonista indiscussa.
E ancora molti gilet e pantaloni attillati con camicie di seta indossati con stivali piatti, assieme a bomber e felpe, rispettivamente in bianco e nero, che completavano questa collezione dalla rinnovata identità del look floreale, attinto dagli archivi della Maison.
Uno dei tanti show itineranti creati da Max Mara, giunti alla loro quinta stagione, che stanno permettendo di raccontare nuove storie e mettono ancora più in luce la qualità e l’artigianalità del saper fare di questa azienda storica italiana, accendendo così l’interesse delle nuove generazioni di donne.
Di Alberto Corrado