La madrilena Paloma Sánchez-Garnica mette un uomo, e due donne a confronto con un passato oscuro. Da cui emerge la luce.
Cosa succede a chi sopravvive al peggior dei traumi, e alle generazioni dopo la sua, quella dei figli? È una delle tante domande si interrogano molti autori negli ultimi decenni, da quando molto psicoterapeuti, trattando le vittime delle guerre e i loro discendenti, hanno avuto la certezza che la sofferenza fisica e psichica e le sue manifestazioni si possono trasmettere ai discendenti. È l’eredità dei sopravvissuti, un’eredità senza documenti, senza parole, tessuta di silenzi, un’eredità sotto pelle. Come scrive la madrilena Paloma Sánchez-Garnica, tra le più apprezzate e premiate autrici spagnole, nel suo romanzo “Ultimi giorni a Berlino” edito da Sperling & Kupfer. “Noi partecipi del terrore di una guerra, diciamo solitamente che è l’esperienza non narrabile. È molto peggio: è invivibile tale. È l’invivibile viene trasmesso attraverso il corpo e il sangue.”
Su questo invivibile e sulla necessità di vivere comunque o sopravvivere la propria vita cercando di lenire la sofferenza, Sánchez-Garnica costruisce il suo “Ultimi giorni a Berlino”. Sono una voce di un uomo e di due donne, quelle che ascoltiamo alternarsi sulla pagina: Jurij Santacruz, diplomatico, è un spagnolo nato a San Pietrogrado negli anni Venti; uno dei sopravvissuti della sua famiglia dalla rivoluzione bolscevica, è arrivato prima in Spagna e poi a Berlino nel 1933 dove assiste alla nomina di Adolf Hitler a cancelliere; Claudia Kahler in von Schönberg, donna della buona borghesia ariana, sposata con un gerarca nazista; Krista Metzger, dottoressa, che cerca di riappropiare un’identità ad ogni persona che incontra sul suo cammino. Ciascuno, a ci restituisce, per minuti e frammenti, la sua esistenza e la sua percezione di ciò che sta vivendo.
Per Jurij, sono i pensieri che ha tenuto dentro di sé, primo ragazzino, poi uomo, raccontando come la sua vita precipiti da un’adolescenza quieta e felice, in una famiglia amorevole, accanto ad un fratello Kolja che lo adora, e al primo amore e poi il secondo.
Per Claudia, è la trascrizione dei suoi pensieri in cui cerca di sciogliere i lacci stretti da una posizione sociale, voluta da una madre totalmente dedita alla propaganda nazista. È solo Krista, figlia della signora Metzger, nobildonna tedesca, che con le sue parole sembra rivolgersi, oltre che a sé stessa, al lettore per rompere l’eterna trasmissione della sofferenza.
Romanzo degli antipodi, lontano dal teatro degli eventi, dove Jurji Santacruz tornerà una volta ancora a Berlino dopo l’invasione russa e la caduta nazista, ormai stanco ma desideroso di ritrovare quegli affetti lasciati, dopo un’ennesima dipartita. Scoprendo che la Berlino che ricordava non è rimasto nulla se non, distruzione e palazzi sventrati, e soprattutto donne sole in balia alla violenza.
“Ultimi giorni a Berlino” è un romanzo visivo e meditativo, una preghiera laica sull’amore che non basta a garantire la serenità a chi è rimasto, ma trova la propria strada facendo fiorire il terreno che è stato seminato.
Nel discorso pubblico sulla memoria della guerra e dei suoi genocidi, c’è qualcosa spesso si dimentica: dobbiamo guardare con riconoscenza a chi, tornato, ha la forza di farsi testimone, mostrandoci come riguardi il mondo intero su ciò che è accaduto. Ma anche a chi torna e continua a vivere scegliendo di tacere dobbiamo, anche a posteriori, un supplemento d’amore.
I personaggi di Paloma Sánchez-Garnica con i loro corpi e le loro anime, resi storti e fragili dal Male attraversato, ogni volta ricostruiscono un nuovo mondo. Non per sé, che in quel mondo non sanno più come stare, ma per quelli che verranno. Uno stile coinvolgente e pieno di realismo che incanta il lettore con una trama potente di sopravvivenza ambientata nei periodi più bui del Novecento.
di Alberto Corrado