La casa editrice l’Ippocampo presenta l’ottavo volume della prestigiosa collana Sfilate dedicato alla storia di Gaby Aghion, paladina di un universo femminile, e fondatrice del marchio francese Chloè.
“Vedeva le donne come sono oggi, ma lo faceva negli anni Cinquanta, quando a malapena avevano un lavoro. la sua visione era agli antipodi di quella allora in vigore. Voleva per le donne abiti con cui poter vivere e lavorare comodamente.”
Philippe Aghion, professore di economia, figlio di Gaby Aghion
Negli ultimi anni sono arrivate a capo della direzione creativa delle Maison delle donne, che fanno a gara a mostrare attenzione alle tematiche femministe, puntando su capi che liberano le donne e promuovono con le campagne di marketing la liberazione dei diritti, ancora oggi, troppo sotto traccia.
Ma a dispetto delle varie dichiarazioni d’intenti, credo che ci sfugga sotto gli occhi il duplice intento del lavoro eseguito negli anni Cinquanta da Gaby Aghion che promosse una nuova rivoluzione femminile e riuscì a creare la Maison Chloè.
“Attraverso il mio esempio credo di aver almeno in parte liberato le donne” affermava Gaby Aghion “In Francia vivevamo nel timore. Non avevamo nessuna libertà: forse si stupirà, ma a quei tempi eravamo al servizio dei mariti” e aggiungeva “Ho sempre pensato che non ci mancasse niente per riuscire con le nostre sole forze, e da parte mia non ho mai smesso di lottare per dare un senso alla mia vita in tutta libertà.”
Una apripista delle maison d’Oltralpe a conduzione femminile, come Sonia Rykiel e Chantal Thomass, ma anche una donna moderna che promosse altre donne, accogliendole nella propria azienda come Stella McCartney, la prima direttrice creativa a soli venticinque anni nel 1997, e Phoebe Philo, a sole ventisette anni nel 2001. Dobbiamo, anche ricordare altre brillanti designers, che contribuiranno a tenere alto il vessillo del successo di Chloè, a partire da Maxime de la Falaise, Christiane Bailly, Michèle Rosier, Graziella Fontana per poi passare negli anni Novanta con Martine Stibon, Hannah MacGibbon, Claire Waight Keller, Natascha Ramsay-Levi, fino ad arrivare alla attuale direzione con Gabriela Hearst.
Un articolo del New York Times del 1960, descrive Gaby Anghion come una donna minuta, ma nello stesso tempo vitale e con uno sguardo penetrante. Figlia di un benestante dirigente greco a capo di una fabbrica di sigarette e di una donna italiana, interessata sempre alla moda, tale da assumere una sarta a suo servizio che potesse realizzare abiti secondo le riviste francesi per lei e sua figlia.
Nata ad Alessandria d’Egitto nel 1921, studia frequenta l’alta società egiziana dell’epoca, e ancora bambina conosce Raymond Aghion, suo futuro marito, che la sposerà quando compirà diciannove anni. Nel 1945, i novelli sposi si trasferiscono a Parigi, dove proseguono gli studi interrotti a causa della guerra.
In seguito Raymond Aghion aprirà una galleria d’arte specializzata in pittura astratta, diventando un punto di riferimento tra gli intellettuali della Rive Gauche, che motiverà Gaby Anghion a fondare la Maison ingaggiando le sarte della casa di moda di Lucien Lelong, che da poco aveva chiuso i battenti.
Nel 1953 coinvolge come socio Jacques Lenoir, che si rese subito conto della crescente richiesta di una moda prêt-à-porter di alta qualità, che doveva contrastare quel mondo della Haute Couture che non riusciva più a stare in sintonia con i tempi.
Gaby Anghion inizia la nuova attività producendo solo sei abiti dalle linee fluide e slanciate, in popeline di cotone, che lei stessa porta nelle boutique per venderle.
Da lì il passo è breve dato il grande successo, per poter presentare la sua prima collezione che verrà mostrata al Cafè de Flore, dove la stampa gusta ottimi croissant e cafè au lait, mentre le modelle sfilano a zigzag tra i tavolini, indossando capi dai dettagli perfetti e sofisticati.
Il successo è immediato ma anche dettato dal suo lavoro di squadra e dalla capacità di reagire alle difficoltà, tale da farla diventare un marchio a tutti gli effetti e avere una storia a parte nel settore della moda per quella sua innovazione nel raccogliere in presa diretta i mutamenti socioculturali, che si andavano affermando.
Gaby Anghion era una donna che amava i cambiamenti, e tra gli obiettivi che si poneva era quello di fornire alle donne gli abiti per affrontare e godersi tutte le innovazioni portate dalla modernità. Nello stesso tempo era molti lungimirante su come doveva strutturare un marchio e per questo che puntò il suo sguardo sulle nuove generazioni di designer che si stavano affermando come Karl Lagerfeld, novello stilista, con poca esperienza, che veniva da Pierre Balmain e da Jean Patou.
Karl Lagerfeld viene assunto da Chloè nel 1964, diventando nel tempo a fianco della fondatrice, il volto e il portavoce delle collezioni che chiarirono i codici e i punti fermi della Maison: le bluse, gli abiti lunghi e leggeri, i pizzi, la seta fluttuante, gli strati inediti, le scollature sulla schiena e il caratteristico beige rosé.
Nel corso degli anni Settanta Chloè consolida ancora di più la propria reputazione, grazie anche la richiesta di molti buyer americani e della carta stampata di mezzo mondo reclama a gran voce di poter partecipare alle sfilate. Dato che, ogni sfilata, diventava uno vero e proprio spettacolo con modelle come Pat Cleveland, Iman Issaye e Jerry Hall, che anticiparono i tempi delle super top model usate da Gianni Versace.
Con l’avvento dei primi anni Ottanta, la Maison ha un periodo di instabilità, dovuto alla dipartita di Karl Lagerfeld che diventa il direttore creativo di Chanel.
In questa fase, Chloè apporta una serie di cambiamenti nell’organigramma, che sono anche in parte conseguenza delle trasformazioni in atto della moda: dal maggiore interesse da parte della stampa nel realizzare più redazionali moda al crescente sfarzo delle sfilate che diventano sempre di più degli spettacoli con inserimento di celebrities del mondo della musica, ma soprattutto l’ampliamento delle collezioni, accompagnate dagli accessori.
Con l’arrivo da Londra di Stella McCartney e la sua assistente Phoebe Philo nel 1997, si avrà un altro punto di svolta della Maison, dato dall’apporto culturale inglese e il fenomeno del brit pop che fa riaccendere quella freschezza giovanile che caratterizzato gli esordi di Chloè.
Stella McCartney resta come direttrice creativa fino al 2001, per poi lasciare e avviare il suo brand, per poi succederle Phoebe Philo fino al 2006. La prima porta in passarella un mix romantico e disinvolto di lingerie d’ispirazione vintage, pantaloni a vita bassa e T-Shirt stampate, crop top e tagli succinti che rivendica la sessualità femminile ma incarna anche il mood spensierato dell’epoca.
La seconda consolida la figura di questa nuova It girls e delle loro It bags, con accessori in pelle, quali la borsa Paddington dalla pesante chiusura a lucchetto, e con un dress fatto da linee pulite, ma con dettagli astuti e virtuosismi tecnici.
Dal romanticismo concettuale di Phoebe Philo che dura fino al 2006, quando la designer passa a Celine, si passa di nuovo ad una serie di anni dove si alternano giovani stiliste che cercano di portare il timone a dritta nelle tempeste di crolli finanziari e nelle complesse coincidenze di fenomeni sociali come “MeToo e Black Lives Matter” e la mobilitazione globale sul cambiamento climatico.
Nel 2017 arriva Natascha Ramsay che setaccia l’archivio di Chloè in cerca di fantasie e dettagli per valutare quali elementi riprendere e riprendere il percorso lasciato da Phoebe Philo, fino a cedere lo scettro della direzione, nel 2021 alla designer uruguaiana Gabriela Hearst. Con lei la Maison porta avanti un altro percorso sul tema scottante della moda etica che cerca di contribuire a ridurre la sua impronta sul pianeta e le persone, in particolare con le scelte d’acquisto di materiali e i processi produttivi.
Il libro Chloè, della prestigiosa collana Sfilate, edito da L’Ippocampo Edizioni racconta tutto questo, corredato per la prima volta di tutte le collezioni dagli anni Cinquanta a oggi, con foto originali e oltre 1.100 look indossati dalle top model, con una prefazione di Suzy Menkes e i testi descrittivi di Lou Stoppard.
Un imperdibile volume che traccia la personalità forte di Gaby Aghion, e il suo grande desiderio di libertà fatto di ricerca di conoscenza al di fuori dei propri confini, che è un viaggio continuo in cerca di nuovi orizzonti. Un messaggio importante e non mai desueto, che incarna le aspirazioni delle giovani donne contemporanee sempre desiderose di essere in scena con la loro rivoluzione contro-culturale e i loro diritti da difendere nella nostra società, ancora troppo maschilista.
di Alberto Corrado