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Dagli attici alle torri medioevali, dalle stanze di un albergo alle isole private, esploriamo i luoghi dove i grandi autori hanno amato scrivere.

“Non scrivere per guadagnare denaro. Scrivi perché ami fare qualcosa.

Se lo fai per denaro, non scriverai nulla che sia degno di essere letto”  

                                                                            _ Ray Bradbury

Ogni casa possiede un potenziale narrativo. Ogni stanza racconta la vita e i segreti di chi l’ha vissuta. Ogni luogo evoca i sentimenti di chi l’ha vissuto. E le case degli scrittori svelano i rituali di quel luogo perfetto tutto per sé: dalle macchine da scrivere a partire dalla Remington del 1871, che costava ben 125 $, a Mark Twain alla Olivetti Valentine di color rosso brillante, disegnata da Ettore Sottass e Perry King, usata da Jam Morris al Santo Graal delle sedie da quella in legno intarsiato di quercia dove si sedeva William Skakespeare a quelle di vimini di Mark Tawain e Charles Dickens.

Le macchine da scrivere di _STEPHEN KING
CHARLES DICKENS_ lo studio a Gad's Hill Place ora diventato scuola

Di loro, e dei loro oggetti o storie realmente accadute, e più di altre, alimentano quel turismo letterario che vanta due secoli di storia e annovera, tra le sue schiere, tanti autori contemporanei di visitare le stanze che ispirarono i loro celebri colleghi.

Inseguendo l’ombra degli scrittori, incontriamo la nostra, come sottolinea Alex Johnson nel suo saggio “Una stanza tutta per sé” con il sottotitolo “Dove scrivono gli scrittori” con illustrazioni di James Oses appena uscito da L’Ippocampo Editore.

“Vomita dentro la macchina da scrivere ogni mattina.

Ripulisci tutto ogni mezzogiorno”                   

  _ Raymond Chandler

È un viaggio sentimentale quello raccontato da Johnson, un percorso effettuato tra buoni propositi per l’anno nuovo come proferito da Virginia Woolf nel gennaio 1931 che promise a sé stessa “di fare un buon lavoro con Le onde”, ma anche di “leggere ogni tanto sì e ogni tanto no”, o dalle abitudini di scrivere sdraiati condivisa da molti poeti e scrittori, da Vladimir Nabokov al celebre paladino Truman Capote, che si definì “autore completamente orizzontale”.

ERNEST HEMINGWAY_la sua camera da letto con i trofei di caccia
MARK TWAIN _usava il suo tavolo da biliardo come appendice della sua scrivania

Tutti luoghi abitati in un passato più o meno remoto, un itinerario ideale che passa dalle stanze private ad angoli di caffetterie come per Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir che erano soliti accomodarsi ai tavolini del Cafè de Flore di Parigi, sin dal mattino, continuando a lavorare e chiacchierare con gli amici fino a tarda sera. Basti pensare che in Spagna, i circoli letterari piuttosto informali chiamati “le tertulias” erano luoghi seri per persone serie che discutevano di argomenti seri per forgiare le civiltà, come il Gran Café de Gijón di Madrid, conosciuto da Truman Capote, Ernest Hemingway.

“Le persone mi disturbano.

Vengo qui per nascondermi da loro”              

 _ George Bernard Shaw

VIRGINIA WOOLF_le finestre del rifugio
UMBERTO ECO_la sua casa di campagna a Monte Cerignone

Un mosaico di luoghi che ricostruisce dove sono nati i romanzi, le poesie e le parole che, tutti insieme, hanno formato la identità letteraria e la nostra storia. Ma dietro, quali finestre, su quali tavoli e con quali penne sono stati scritti tanti capolavori. Questo ha cercato Alex Johnson nell’elaborare “Una stanza tutta per sé” per provocare una serie di corti circuiti fra ciò che gli autori hanno immaginato o ciò che è capitato nei loro ambienti privati e ciò che può essere visitabile oggi.

“Qualsiasi posto è buono per mettere in moto la fantasia, purchè si trovi in un angolo oscuro e l’orizzonte sia vasto”

                                                              _ Victor Hugo

Non è un libro accademico, ma solo un libro in cui ciascuno può ritrovare il suo modo di visitarle o prendere spunto per ritagliare quell’angolo per lavorare, e in cui ritrovare le proprie luci e le proprie ombre. Un cercare noi stessi, in fondo, perché come diceva il giovane Holden, i libri più belli sono quelli che ti fanno venire la voglia di telefonare all’autore per fare quattro chiacchiere. Ma siccome alcuni sono morti da un pezzo, perché non suonare il vecchio campanello. All’interno ci aspettano parecchie sorprese.

di Alberto Corrado