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Cresce in una famiglia aretina, sceglie la scuola d’arte ma poi si innamora dei comics. Disegna nella moda, ma poi si avvicina al mondo del cinema come regista di cortometraggi. Tra amore per il mito giapponese e lo studio del genere umano. Ritratto di un indagatore della psiche.

Ogni tanto, quando perdeva la speranza di farcela, metteva la mano dentro la tasca dei pantaloni, e rigirava tra le sue dita la piccola conchiglia che aveva trovato nelle risaie

Doppelgänger

Nella numerosa schiera degli scrittori che descrivono gli sliding doors della mente, Lorenzo Giacinti è uno dei pochi che esercita una stratificazione supportata dalla doppia focalizzazione, tra io narrante e narratore onnisciente. Non c’è per lui analisi, senza dialogo, senza un possibile risvolto che ci rimanda ad una risoluzione finale come in una pellicola hitchcockiana. Un analista che intreccia il mondo del bene e il mondo del male. Qualunque cosa vogliamo attribuire a queste due categorie, esse ci sovrastano e ci condizionano. Il male e il bene non si aggiungono al nostro comportamento, ma sono il nostro modo di comportarci.

I DOPPI _Unsplash/ Ryoji Iwata.
POTHOS DI SKOPAS _Via Cavour Musei Capitolini
RYOKAN Lucas Calloch
BAITA Arno Senoner

Ho letto il suo primo romanzo Doppelgänger edito da Porto Seguro, una storia d’amore di due ragazzi, che si interrompe proprio quando il libro ha inizio, dando vita a episodi separati, scanditi da capitoli rigorosamente alternati che ne raccontano di ognuno l’incessante ricerca della propria identità. A seguire il suo secondo romanzo “Memorie Future” sempre edito da Porto Seguro, dove si raccontano le tre età della vita del protagonista: durante la sua adolescenza, da adulto dove dovrà accettare di superare la fine di un amore e il suo capolinea della sua esistenza, dove farà i conti con la sua vecchiaia e con l’idea di un riscatto.

Ho rivolto all’autore alcune domande per far trapelare la sua linfa creativa e il suo potere di immaginazione, per capire quelle tinte di sensualità che si ritrovano nelle sue pagine, o grandi respiri delle ricche descrizioni di ambienti esteriori, come se fossimo su un set viscontiano, ma soprattutto interiori dei suoi personaggi, che costringono il lettore a riformulare ipotesi e pensieri.

Giappone, Europa. Cosa lega questo mondi che tu racconti.

Il Giappone è il mio paese delle meraviglie, un mondo sognato prima e visitato poi, un mondo che continua a sorprendermi a ogni viaggio. 

Vivo coi piedi in Italia e con la testa nel Sol Levante, appena posso faccio la valigia e parto.

Tokyo è una città misteriosa e affascinante, magica, dove ho come l’impressione che l’impossibile possa diventare possibile: era lo scenario perfetto per Doppelgänger.

Nella terza parte di Memorie Future “Il futuro” è la vicenda di due uomini quasi alla fine della loro vita, solo uno di loro simpatizza con una clandestina e una donna che simpatizza nel Movimento dei diritti per un mondo migliore. Cosa ti ha spinto ha creare questi personaggi, per una sensibilità alle tematiche odierne.

Nella terza parte di Memorie future descrivo un mondo distopico ma tristemente credibile, paurosamente verosimile. Il presente che viviamo ha certamente condizionato in negativo la mia visione del futuro, non sono poche le preoccupazioni, ma nutro anche una buona dose di speranza nelle nuove generazioni.

Proprio come Giacomo, che cerca di vivere l’ultima parte della sua vita dando rifugio e protezione a due giovani ragazze in cui crede ciecamente: con le loro azioni miglioreranno la situazione e scriveranno un nuovo futuro.

Ti sei trovato nel dilemma del confessore?

Diciamo che sono un buon ascoltatore. Più che espormi, spesso preferisco ascoltare quello che gli altri hanno da dire. Parlare in pubblico, per esempio, mi imbarazza non poco e preferisco sempre scrivere che parlare. o ascoltare, appunto. Molti amici si confidano con me. Prima di parlare, invece, devo pensare molto, devo riflettere, e in questo la scrittura aiuta.

Che ruolo gioca la lealtà nel rapporto tra autore e personaggio, per esempio in Doppelganger.

Scelgo sempre di raccontare personaggi che in qualche modo mi somiglino: li faccio parlare come parlerei, o come parlerebbe una parte di me, perché quando si scrive bisogna essere sinceri. Se un personaggio mi somiglia diventa più facile farlo reagire a un problema, a una delusione, a un lutto, e so bene cosa lo diverte, cosa lo attrae, cosa lo eccita, per cosa vuole combattere, quali sono le sue paure e le sue insicurezze. Credo che la scrittura debba essere un atto creativo e controllato al tempo stesso e quando conosci bene un personaggio può anche capitare che a un certo punto decida “da solo” come agire, che decida “da solo” di percorrere strade diverse da quelle programmate. È il momento più magico e sorprendente che possa accadere durante la stesura di un romanzo e se succede lascio che il percorso della trama subisca qualche svolta.

Ovviamente ho scritto anche di personaggi più distanti da me, ma almeno per i protagonisti cerco di rispettare questa regola: si scrive di ciò che si conosce bene. Le sorprese arrivano comunque, perché non possiamo conoscere del tutto nemmeno noi stessi.

I tuoi personaggi spesso sono analisti di sé stessi, secondo te che ruolo gioca il rapporto tra analista e paziente?

I miei personaggi diventano analisti di sé stessi intraprendendo viaggi fisici o interiori alla ricerca del proprio io, che poi è un po’ quello che faccio e che ho fatto anch’io.

Si può intendere l’analisi come mezzo di guarigione, o pensi che vi siano altri strumenti come l’arte dello scrivere o quella pittorica.

Per me scrivere è terapeutico. Mi sfoga, mi libera, mi dà la possibilità di conoscermi meglio o di riconciliarmi con me stesso e con gli altri. Credo che l’arte in genere abbia questo grande potere: ne parlo anche in Doppelgänger, in cui l’arte in tutte le sue forme è protagonista al pari dei personaggi.

 I tuoi romanzi hanno una sorta di impostazione analitica che punta a una sorta di vita più autentica, rifuggendo dal contesto del presente. Che è un po’ quello che si prefiggevano i filosofi antichi con la loro morale. Ma secondo te, la psicoanalisi deve interessarsi all’etica.

Dialogando con gli altri e con sé stessi, i miei personaggi sono alla ricerca del loro posto nel mondo, del loro io più autentico, di una vita che somigli a loro stessi. Cercano la strada per la sincerità e la trovano spesso per mezzo dell’astrazione, o di un simbolo. Non impazzisco per le storie con una morale troppo palesata, mi piace che qualcosa resti in sospeso, che ogni lettore trovi le sue risposte, i miei personaggi intravedono un senso nella ricerca stessa, nel viaggio invece che nell’arrivo, nelle domande più che nelle risposte.

La tua formazione non è lineare. Nasci come Maestro d’arte. Come sei approdato alla scrittura.

In realtà nasco come fumettista. Il mio sogno, la mia vocazione, è da sempre quello di raccontare storie, a prescindere dal mezzo. Sono passato dal fumetto alla narrativa passando per il cinema.

La parentesi nel mondo della moda è stata una svolta inaspettata, interessante e gratificante, ho imparato molto, ho avuto modo di viaggiare, ma al tempo stesso i ritmi frenetici e certi meccanismi, certe situazioni, non facevano per me. A un certo punto mi sono sentito sopraffare e ho mollato tutto.

Hai scelto la scrittura come terapia dal mondo frenetico e patinato.

Probabilmente sì. Ma avevo già scritto alcuni racconti anche in passato e credo che raccontare storie sia davvero una sorta di vocazione. Scrivere mi rilassa, mi fa stare bene, a volte mi fa piangere, mi commuove, ma non sono mai in ansia, non sento nessuna pressione, mi sento libero.

Come è stata la tua infanzia e la tua adolescenza.

Ho vissuto un’infanzia piuttosto serena. Ero circondato da donne: mia mamma e mia nonna, le zie, mia sorella e le mie cugine. Ero un bambino timido, ma non con loro. A scuola andavo molto bene, nei giochi ero particolarmente creativo e ideavo mondi fantastici che diventavano il terreno di svago e d’azione per me, mia sorella e le mie cugine. Quando non ero con loro, passavo il tempo a disegnare.

Durante l’adolescenza ho fatto molta fatica a esprimermi. Come il protagonista di Memorie future nella parte iniziale del libro, avevo paura di mostrarmi per quello che ero, ogni passo che avrei voluto compiere aveva tutta l’aria di un passo falso, temevo che qualunque mossa al di fuori dell’ordinario mi sarebbe stata fatale. Mi piacevano i ragazzi, ma non volevo in alcun modo che gli altri lo sapessero. Ero terrorizzato da quello che i mei genitori avrebbero pensato, da come avrebbero reagito. E allora cercavo di mimetizzarmi, di essere invisibile.

Il rapporto con la figura paterna.

I padri che descrivo sono pessimi, lo so. Mio padre non lo è. C’è stato e c’è tutt’ora. Ma è vero che ho faticato molto a sentirmi libero di essere me stesso, con lui. E non siamo mai riusciti a stabilire una connessione profonda. Ci siamo abbracciati la prima volta dopo tanto tempo soltanto quando ho fatto coming out.

Entrambi i libri hanno una figura paterna quasi assente, come rifugio dalle inaspettate capacità affettive maschili.

Nei miei libri futuri esplorerò vari tipi di paternità e di maternità: cercherò di raccontare di padri diversi da quelli dei protagonisti di Doppelgänger e Memorie future. Il rapporto genitori figli mi interessa molto. Per la mia esperienza personale faccio fatica a immaginare padri con spiccate capacità affettive, ma mi sforzerò di descrivere anche padri di questo tipo.

Qual è il vero valore e il senso della parola dell’anima che tanto ricerca in Doppelganger, il personaggio senza nome in Giappone?

Ale è un personaggio svuotato, senza più stimoli, che non riesce a dialogare con la sua interiorità. La ricerca del suo doppio in Giappone è la ricerca di sé stesso e del suo io interiore e si concretizza in un breve dialogo sfuggente e in una nuova ricerca, forse infinita.

La ricerca di Ale è la ricerca di tutti quelli che si sentono persi, di tutti quelli che hanno perso sé stessi per stare al passo coi tempi e con una vita troppo piena, troppo veloce, dove bisogna essere sempre al top, sempre connessi.

Fonte dei tuoi romanzi è il mondo orientale o anche altre fonti.

Nella cultura orientale, soprattutto in quella giapponese, trovo molta ispirazione. Sono un appassionato lettore di narrativa nipponica, adoro Murakami, ma leggo anche tantissimi manga e mi affascinano tutte le arti giapponesi. Il mondo surreale, quello onirico, il realismo magico e le atmosfere sospese sono elementi presenti nei miei due libri pubblicati e che caratterizzeranno anche i prossimi.

Oltre a questo, continuerò a raccontare di personaggi queer senza che l’identità o l’orientamento sessuale diventino il tema portante del libro. Vorrei che i protagonisti dei miei libri fossero “normalmente” queer nonostante le mie storie potrebbero funzionare con qualsiasi tipo di personaggio.

Come oggi definiresti oggi lo sdoppiamento umano.

Penso che ci sdoppiamo quando ci perdiamo, quando non ci riconosciamo. Ci sdoppiamo quando creiamo immagini di noi che non ci rispecchiano, sui social o altrove, ci sdoppiamo quando perdiamo la nostra identità, quando interpretiamo un ruolo che non ci rappresenta, reprimendo il nostro vero io.

Questo uso della ricerca del doppio è distruzione dell’altro o solo il sintomo di paranoia del contesto che stiamo vivendo. Cioè di una forma di follia estrema, spesso impercettibile, che può anche cambiare l’assetto umano e storico di una società.

In Doppelganger ho inteso la ricerca del doppio come un fatto molto intimo, interiore. Lo sdoppiamento può nascere dal contesto attuale, la ricerca e la conciliazione con l’altra parte di noi è un percorso individuale. 

Ti sei mai sentito sdoppiato

Mi sono sdoppiato per scrivere Doppelgänger: ho diviso la mia persona per creare i due protagonisti: lo scrittore che si rifugia nella baita del padre in cerca di ispirazione e Ale, il suo ex che parte per Tokyo.

Ho assegnato allo scrittore alcune mie caratteristiche: la mia parte più riflessiva, più pacata, ma anche quella più insicura. La parte più intraprendente, più affascinante, ma anche più egoista sono toccate ad Ale.

Qual è la tua maggiore colpa quando ti senti fuori da un contesto.

Tendo a chiudermi, a intimidirmi come quando ero un ragazzino. E allora prevale la mia parte più insicura, quella dello scrittore di Doppelgänger. Un giorno riuscirò a trovare il giusto equilibrio tra le mie due nature.

Il tuo sogno nel cassetto.

Vorrei vivere in Giappone per un lungo periodo. Finora ci sono stato soltanto in viaggio, al massimo per un mese. La prossima estate ho in programma di trascorrerci almeno due mesi. Ma vorrei riuscire a vivere a Tokyo per qualche anno, prima o poi. E ovviamente mi piacerebbe continuare a scrivere romanzi e raggiungere più lettori possibile.

Il tuo prossimo romanzo.

Ho due libri in cantiere: un thriller psicologico sulla scia di Doppelgänger, ma collegato alla parte centrale di Memorie future, e un romanzo particolarissimo e molto diverso da ciò che ho scritto finora, un esperimento.

di Alberto Corrado