L’incontro artistico con Penelope Cruz, e la sua interazione con tre giovanissimi attori, che non hanno recitato prima Luana, Patrizio e Maria Chiara appone la firma di nuova opera di successo.
La libertà è un tunnel che si scava a mani nude
Paul B. Preciado
“L’immensità” del regista Emanuele Crialese, in concorso ieri alla 79 Biennale Venezia, terzo dei cinque italiani in gara, ci ha emozionato, perché parla di un cinema che attraversa e supera poeticamente le distanze tra terre, sogno e realtà.
Un film atteso non solo per i continui rimandi del regista “che ogni volta lasciava il posto ad un’altra storia, come se non mi sentissi mai abbastanza pronto, maturo e sicuro” ma anche per il lungo silenzio di quasi undici anni dopo aver diretto “Once were strangers” (1997), “Respiro” ( 2002), “Nuovo Mondo” (2006) premiato con il Leone d’Argento- Rivelazione a Venezia, e “Terraferma” ( 2011) Gran Premio della Giuria al Lido e Premio Mario Monicelli alla Bif&st , riscuotendo consensi positivi ben oltre i confini nazionali.
Vari elementi legano i suoi film partendo da un elemento naturale come il mare, essendo Crialese nato a Roma, ma da genitori siciliani, ai suoi personaggi che sono migranti di ieri e di oggi, ma il filo più importante è quello di sangue e di affetto, tra le persone.
Infatti ‘L’immensità” è un film sulla famiglia quello di Clara, donna dolce, ipersensibile, interpretata da Penelope Cruz, e Felice suo marito, uomo assente, freddo che tradisce la moglie in modo compulsivo, qui recitato da Vincenzo Amato. Un disagio familiare e la fine di un rapporto d’amore, che è tenuto assieme solo dai figli, di cui la più grande Adriana, interpretata da Luana Giuliani, una dodicenne che trova sollievo quando attraversa un luogo interdetto dai genitori, definito proibito, e si ritrova in una baraccopoli dove ad una bambina povera, le fa credere di essere “Andrea”, un maschio, per poi diventare la sua unica amica.
Una storia che si basa sull’esperienza del regista, che con questa pellicola ha voluto finalmente fare coming out, come persona trans e rivelare al mondo il difficile percorso di transizione che ha affrontato.
“Certamente Adriana e Andrea sono io. Questo è il mio punto di vista. Sono io. È chiaro che si tratta di una rappresentazione di me stesso. Non ci sono dubbi che sia io.” dichiara Crialese “Lo sguardo è della ragazza, ma corrisponde assolutamente al mio. Questo è un tema ricorrente per me – la riconciliazione del conflitto fra maschile e femminile – e può essere esplorato in infiniti modi. In questo film penso di aver raggiunto l’apice di questa esplorazione. Adesso credo di essere pronto per andare avanti.”
Se il padre diventa una figura quasi assente, quella della madre, così come quella della dodicenne che rifiuta la sua sessualità, sono fondamentali, dato che loro sono il cuore della storia, forse perché i personaggi femminili sono quelli che interessando di più il regista, mentre quelli maschili passano in secondo piano.
L’apporto di Penelope Cruz si è rivelato fondamentale, soprattutto per la sensibilità e la capacità di interazione con i giovanissimi autori, che erano al primo debutto cinematografico e “sono rimasti bambini sempre e come tali sempre intensamente e immensamente veri”, commenta Crialese alla conferenza stampa.
L’ambientazione è una casa degli anni ’70 in uno dei quartieri in costruzione a Roma in quel periodo, che può implicare un paesaggio quasi metafisico, dove si muovono le dinamiche familiari, le gioie di danzare e le canzoni di Raffaella Carrà, oppure ascoltare melanconicamente Johnny Dorelli, Adriano Celentano e Patty Pravo.
“Per me la Carrà è una delle figure più importanti della mia infanzia” dichiara Penelope Cruz ai giornalisti intervenuti in conferenza stampa “Mia nonna mi portava ai giardinetti e faceva sedere tutte le sue amiche a cerchio intorno a me, azionava la musica di Raffaella e mi invitava a ballare ed imitarla. Per me rimane una icona, per quel suo stile rimasto fedele a sé stesso”.
Le fa da coro Crialese che parla delle riprese del balletto di Penelope sulle note di Rumore
“Mentre giravo la scena di Rumore e ci confrontavamo su come renderla in maniera più divertente con una coreografia allegra. Nella mattina del secondo giorno di riprese, ci siamo detti che sarebbe stato bello incontrare Raffaella o invitarla sul set.” e aggiunge “Poche ore dopo è arrivato Mario Gianni, il produttore, di solito sempre allegro con una faccia scura. Raffaella era morta. Scusate se sono esoterico, ma quella scena l’abbiamo fatta con lei, lei c’era e c’è ancora.”
Speriamo che gli spettatori che andranno al cinema a vederlo si pongano delle questioni su che cos’è per ognuno di noi la libertà, quella che ti dà coraggio, mettendosi alla prova ogni giorno, con i propri limiti, svincolandosi dalla paura e sulle cose che ci spaventano.
Un regista che ha sempre rassicurato, che ha sofferto molto per tutto il suo percorso di sopravvivenza e come lui afferma chiudendo la conferenza “Sono nato biologicamente donna, sono un uomo come gli altri? Tranquilli, no. Io sono altro, e se questo altro sconvolge perché sfugge alle classificazioni mi dispiace, ma cosa ci posso fare? Io sono una persona, un essere umano, ho dei diritti, ma soprattutto sono quello che faccio, quello in cui credo. Non c’è trucco e non c’è inganno: la cosa migliore del fatto di essere un uomo sta anche nel fatto di avere una parte femminile: io sono chi sono, cerco di mantenere la mia polarità, molteplice, non rappresento una minaccia per nessuno. Biologicamente sono nato essere umano, e in me c’è ancora una forte parte femminile.”
Forse in questi tempi bui, la pubblicazione di un film come “L’Immensità” è essenziale per arricchire ed estendere un dibattito in Italia, o oltre confine. In questi tempi di chiusura forzata delle idee e delle angosce causate dalla reclusione pandemica, la riflessione su questi temi famiglia, affetti e sessualità diventano il potere della parola e della libertà d’espressione che risulta più che mai centrale, sfuggendo alla violenza patriarcale e coloniale.
di Alberto Corrado