Carla Simon, sceneggiatrice e regista catalana, presenta il cortometraggio ‘Lettera a mia madre per mio figlio’, che fa parte del ciclo Miu Miu Women’s Tales, nella sezione Giornate degli Autori della Mostra del Cinema di Venezia, con una esclusiva intervista al Ns magazine.
Ogni più piccolo momento della vita quotidiana di una donna racchiude in sé molteplici sfaccettature, per questo Miu Miu ha creato Miu Miu Womens’s Tales nel porre l’attenzione alla donna, alla sua dignità, alle sue battaglie e alla sua espressione.
Un progetto accolto con entusiasmo nel 2012 dalle Giornate degli Autori, associazione dei registi e degli autori cinematografici italiani ANAC e 100autori, all’interno della Mostra del Cinema di Venezia, sul modello della prestigiosa Quinzaine des Réalisateurs di Cannes.
Obiettivo della rassegna è quello di creare attenzione per il cinema di qualità, senza restrizioni di sorta, con un occhio alla ricerca e alla originalità espressiva. Tutte caratteristiche presenti nei 10 film selezionati che si tengono durante le Giornate presso la Casa degli Autori.
In accordo, con questa filosofia, Miu Miu Women’s Tales, questo anno ha presentato due cortometraggi: “House comes with a bird” diretto da Janicza Bravo e “Carta a mi madre para mi Hijo” diretto da Carla Simon.
Comprensione e desiderio. Con queste parole inizia la nostra conversazione con Carla Simón Pipó, regista e sceneggiatrice spagnola, nota per aver diretto le pellicole “Estate 1993” candidato come miglior film straniero alla 90° edizione degli Academy Awards e “Alcarràs” che ha vinto l’Orso d’Oro alla 72 edizione della Berlinade diventando il primo film in lingua catalana a ricevere tale premio.
La regista le pronuncia in maniera gentile ma determinata, quasi a ricucire quello strappo e parlare della famiglia, della maternità, della memoria.
Un modo per accompagnarci nel mondo dei ricordi del corto “Lettera a mia madre per mio figlio” che si apre con la protagonista Simon, che sta scrivendo una lettera a mano a sua madre, un gesto che sa molto del passato e desueto nel mondo contemporaneo, mentre una tenda di pizzo macramè, scostata dal vento, disegna ombre e le campanelle tintinnano, come una espressione quasi liturgica di un rito passato.
Le racconta che presto avrà un figlio, ma sua madre non potrà leggere questa lettera, perché è morta tanto tempo fa, quando lei era bambina a sei anni.
Una regia e sceneggiatura che intreccia con purezza la vita di Simon e sua madre, che non è altro la storia di Carla e di sua madre. Un desiderio toccante di rimescolare tra passato e presente l’album dei ricordi, con tre protagoniste che si passano il testimone del tempo: dalla piccola Ainet Jounou che ha debuttato sullo schermo con il film Alcarràs diretto da Carla, alla giovane attrice spagnola Cecilia Gómez, conosciuta per il suo ruolo in La Mancebia e la magnetica Ángela Molina Tejedor, attrice tra le più premiate e acclamate del Transición Española.
Crede che sia questa la sfida da vincere per riportare il pubblico a guardare il cinema.
Penso di sì, e comunque è quello che avevo in mente quando ho deciso di fare film. L’industria culturale ha contribuito ad assuefare il pubblico a un certo tipo di prodotto, con il conseguente aumento di divario tra cinema d’autore e prodotto commerciale. Al contrario volevo che le mie pellicole mostrassero un certo impegno e portassero ad una riflessione sugli argomenti toccati, proprio come Alcarràs, che è un film sincero e senza abbellimenti, ma allo stesso tempo coinvolgente e appassionato.
Entrando nel merito del tuo esordio registico mi sembra che per formazione culturale e lavorativa tu rappresenti un’eccezione rispetto alla tendenza del nuovo cinema che nasce e si sviluppa all’interno, di un alveo realista e documentarista.
A dire il vero io cerco di cogliere la sensibilità di una storia, proprio come facevano i grandi registi del passato che pur partendo da una base di realismo mantenevano sempre una prospettiva che li distingueva uno dall’altro e li rendeva riconoscibili. Del mio corto per Miu Miu potrei dire lo stesso, perché sul set abbiamo discusso molto per trovare la cifra giusta. Volevamo creare un contesto semplice dove l’obiettivo primario è raccontare una storia di donne e del loro nucleo familiare rispettando il ricordo della vita che passa.
Prima di continuare volevo chiederLe in che modo sei arrivata al cinema, e in particolare alla regia.
Per me il cinema è nato come terapia. Da piccola era una bambina che amava disegnare e mi incantava la riproduzione di immagini. Quando entrai per la prima volta dentro un museo, rimasi affascinata da quella visione meravigliosa di più quadri e dall’effetto che la luce poteva posizionarsi sulle tele. Pur capendo poco ne venivo coinvolta, e a forza di leggere e studiare cercando di trovare una possibile spiegazione, mi sono ritrovata a studiare cinema e comunicazione prima in Spagna e poi in USA.
Volevo tornare al suo corto per chiederLe ancora qualcosa sul paesaggio, e sul cortocircuito temporale che lo attraversa.
La contemporaneità della storia era fondamentale dal punto di vista drammaturgico per poter elaborare questo progetto con Miu Miu. Detto questo i riferimenti agli anni passati li ho utilizzati con diverse funzioni. Da una parte quel periodo, con i suoi sogni e speranze rappresenta di fatto i momenti felici di una famiglia, e questo mi è servito per rendere lo stato emotivo in cui si muove Simón. Allo stesso tempo lo scarto temporale mi consentiva di rimarcare in maniera visibile la diversità delle varie figure femminili. Infine bisogna tenere conto che in certe zone della Spagna la modernità della comunità europea non è ancora arrivata, per cui quello che potrebbe sembrare antiquariato è invece pura attualità.
Una delle caratteristiche del suo film è appunto la possibilità di accedervi secondo più livelli di lettura. Mi riferisco per esempio ai costumi di scena, e in particolare ai membri della famiglia ritratti nella pellicola.
Sì è vero, ma solo nel senso di cui ti dicevo a inizio conversazione, perché volevo che la minore o maggiore perspicacia dello spettatore non influisse sulla fruibilità del film. Così il colore sbiadito è il segno di una comunanza tra i personaggi, ma potrebbe essere anche un modo per stabilire un nesso più profondo. E ancora la scelta di usare abiti che esprimessero la personalità delle figure femminili, a differenza di oggi che si assiste ad una omologazione nel modo di vestire, nel passato succedeva esattamente il contrario; da qui la scelta di privilegiare un certo tipo di look.
Nei piani sequenza che si presentano più personaggi, madre, sorella e nonna tutti sembrano camminare uno di fianco all’altro, assomiglia in qualche modo alla passerella di un ricordo, quando sfogli un album di fotografie ma può essere anche l’idea di super eroi filmati alla maniera di unhero movie, ovvero eroi quotidiani della nostra vita. (domanda scaturita dalla lettura della sceneggiatura).
Simón, e le altre compagne di viaggio sono eroi del quotidiano nella maniera in cui lo erano le persone che ricordo nella pellicola. Se poi consideri che il percorso umano che racconta il corto è una sorta di avventura esistenziale, che include le contraddizioni tipiche di questo tipo di esperienza, allora penso che il termine eroico attribuito all’atteggiamento dei miei protagonisti calzi a pennello.
Nel tuo cinema la macchina da presa si muove con parsimonia, e solo quando è necessario. Volevo chiederti appunto di questa necessità.
Per quanto mi riguarda penso che nel girare non si deve eccedere con i movimenti di macchina. Bisogna saperli dosare, altrimenti l’effetto che si ottiene da quel movimento perde la sua eccezionalità e, di conseguenza, la sua efficacia. Certo è d’uopo conoscere la grammatica del cinema e sapere che effetto avrà sullo spettatore un determinato tipo di inquadratura, un carrello, una panoramica. Io non sono una buona stratega nel senso che, quando arrivo sul set, tendo a creare un discorso intimistico, quasi di una osservatrice per mantenere lo stato d’animo che mi ha portato a girare.
Pur essendo un’opera prima il suo video ha un cast d’attori di grande livello. Mi piacerebbe sapere come è riuscita a coinvolgere Angela Molina e come si è rapportata con lei durante la lavorazione.
Ho avuto il privilegio di incontrarla in un galà, e in seguito le ho chiesto se era libera per lavorare assieme a questo progetto. Che lei fosse una grande attrice era acclarato ma quello che ho toccato con mano è il suo essere mistica, e come sappiamo, il magnetismo è una componente fondamentale della settima arte. Con lei abbiamo parlato molto del personaggio: è stato estremamente professionale, ascoltando ed entrando nei dettagli del suo ruolo; poi, davanti alla macchina da presa, si è lasciata andare all’istinto con risultati sorprendenti. Una connessione incredibile.
Mi stavo quasi dimenticando di chiederLe qualcosa a proposito delle sue influenze cinematografiche.
Sa essendo nata a Barcellona, cresciuta a Garotxa, vissuta a Londra e negli States, ma col baricentro sempre fermo nella mia terra e famiglia sono cresciuta con Claire Denis, regista e sceneggiatrice francese famosa per il suo studio della condizione umana con le sue tensioni interculturali e i conflitti familiari e il neorealismo italiano, con trame caratterizzate in massima parte fra le classi disagiate e lavoratrici. Poi, questo movimento culturale nato e sviluppato nel dopoguerra, utilizzava spesso attori non professionisti per le parti secondarie e a volte anche per quelle primarie, e questo è una idea che mi è servita molto nel creare dei drammi riflessivi esaltando il lavoro eccezionale di giovani attori, certe volte totalmente sconosciuti.
Cosa le ha affascinato nell’invito di Miu Miu di creare questo progetto e di essere annoverata assieme altre registe internazionali con formazioni intellettuali diverse esprimono, ma che parlano una sola lingua quella di una visione femminile della società.
Quando Miu Miu mi ha proposto questo progetto ero immersa nella promozione del film Alcarràs, ma ho colto subito questa opportunità di poter sperimentare il tema della maternità, dato che ero incinta di Manel e non facevo che pensarci. Poi le idee e i ricordi sono subentrati, dandomi una direzione nello scrivere la sceneggiatura e una connessione alle mie radici.
Il prossimo passo dopo questo progetto che ha presentato alla 79 Biennale di Venezia.
Un nuovo film che parla di relazioni familiari e della importanza della memoria, ma da un’altra prospettiva, di quella affrontata con il progetto Miu Miu.
di Alberto Corrado