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Quando la tecnica vela la natura, l’economia oscura l’ecologia.

“Questo cosmo, che è di fronte a noi e che è lo stesso per tutti, non lo fece nessuno degli dèi né degli uomini, ma fu sempre, ed è, e sarà fuoco sempre vivente, che divampa secondo misure e si spegne secondo misure”.

Con questo avvertimento Eraclito annuncia la cultura del dominio. Nel mondo greco era impensabile immaginare la natura come qualcosa di governabile dal concorso umano, la natura era uno sfondo immutabile che nessun dio e nessun uomo aveva mai immaginato di creare, figuriamoci dominare.

DEMETRA SVELA LA NATURA Francesco Bondì, 2019, Collezione privata.

Lo spirito greco si poneva nei confronti della natura con quell’atteggiamento di reverenziale contemplazione tale da divinizzarne l’immagine, tanto è vero che ogni effetto della natura appariva all’uomo greco come un oracolo di un dio che tendeva, o imponeva, la sua mano all’uomo. Un’immagine molto chiara dell’impotenza dell’uomo di fronte alla natura ce la restituisce Sofocle nell’Antigone: l’aratro ferisce la terra, ma questa si ricompone dopo il suo passaggio. Allo stesso modo la nave fende la calma trasognata del mare, ma le acque si ricompongono perchè la natura è sovrana. La riflessione di Sofocle è di fatto un rincalzo a quella di Eschilo che, nel Prometeo incatenato, ribadisce la debolezza della tecnica di fronte alla necessità che governa le leggi della natura.

Se per l’uomo la natura è Madre lo è solo per tentare di propiziare la sua indifferenza nei confronti delle vicende umane. L’esperienza del mito diventa quindi esemplare, oggi più che mai, per evocare quell’equilibrio tra la natura e l’uomo che, nel desiderio di dare una spiegazione alla fenomenologia del mondo, inventa il sacro a propria immagine e somiglianza. 

Figure materne come Demetra, concedevano all’uomo il senso della misura, stabilita da un lato dal conforto di una spiegazione sulle dinamiche della vita e della morte, dall’altro, quella misura, rappresentava il riferimento inteso come limite oltre il quale l’uomo non doveva spingersi, perchè la divinità, come la natura, va interrogata, non provocata. Stabiliti i termini della relazione religiosa tra la divinità e l’uomo, il pensiero greco è in grado di delineare quel gusto ecologico che genera identità: la terra non appare come un grande contenitore di materie prime da sfruttare, ma un luogo da rispettare e dove abitare.

Demetra, divinità materna della terra e della fertilità, nume tutelare dei raccolti, artefice delle stagioni, protettrice delle leggi sacre, ipostasi perfetta di equilibrio di vita e di morte, si dice che abbia insegnato agli uomini la coltivazione dei campi, e quindi è anche portatrice di tecnica.

PEPLOPHOROS, DEMETRA, I a.C. Villa dei Papiri, Ercolano

Ma la tecnica, come dice Conrad, trova solo limiti da sfondare e “l’uomo tolto alle manette del sacro può fare soltanto quello che sta facendo”, conclude Ceronetti. 

Aggiunge Galimberti: “E questo perchè la scienza non guarda il mondo per “contemplarlo”, ma per “manipolarlo”, per cui la tecnica non è, come si crede, l’applicazione delle scoperte scientifiche, ma ciò che promuove la qualità dello sguardo scientifico”.

“La tecnica obbliga la terra ad andare oltre il cerchio della possibilità che questa ha naturalmente sviluppato, verso ciò che non è più il suo possibile, e quindi è l’impossibile”, in questo modo, secondo Heidegger, assistiamo alla denaturalizzazione della natura a causa di un uso fuori misura della tecnica e che oggi assume una tonalità tragica: le riflessioni attorno al tema dell’usura della terra che lo stesso Heidegger già denuncia nel 1927 e il Protocollo di Kyoto sottoscritto l’11 dicembre del 1997 e entrato in vigore solo il 16 febbraio 2005, non hanno impedito all’uomo di rincorrere i suoi profitti a scapito della verità. 

Per i greci infatti, la tecnica portava allo svelamento della verità, quindi l’uomo non poteva dominare la natura, poteva solo svelarla. Da qui prende forma la concezione greca della verità come svelamento della natura, dalla cui contemplazione nascono le conoscenze che regolano l’azione e il pensiero dell’uomo. Per Heidegger la salvezza sta nell’esperienza artistica, non solo per il valore contemplativo che tale esperienza insegna, ma perchè l’arte, portando il nome di tèchne, concorre al disvelamento della natura e della verità. 

Così l’ecologia, che oggi annuncia urgenza e preoccupazione, si illumina di una nuova luce, che in reltà è poi quella antica:  diventa una questione di gusto. E se l’ecologia è una questione di gusto allora si pone a metà strada tra la natura e la cultura, come ogni esperienza artistica. 

E se è vero che tutti gli uomini non possono diventare artisti, confidiamo quantomeno che possano diventare artefici.

Di Francesco Bondì