by Francesco Bondì
Una conversazione che fa emergere l’uomo che si cela dietro l’artista ROBERTO FERRI.
Si dice che la pittura e il teatro concedano all’uomo l’opportunità di mettersi a nudo e attraverso i loro rispettivi artifici raccontano verità che le velature dell’Arte trasformano in Bellezza. Si scopre poi che la Bellezza, quella vera, è negli occhi di chi guarda.
Uno degli argomenti costanti nell’Arte è la Verità. Così come il teatro, anche la pittura, nei secoli l’ha quasi imposta come una regola, come una direzione, come una meta, che ne pensi? La verità cos’è? Quid est veritas?
Ti posso dire che la pittura è la più grande delle menzogne! Come si sa, ma alla fine racconta sempre la verità di ognuno di noi, in primis quella dell’autore, ma chiaramente poi parla delle verità di chi osserva poi l’opera, quindi alla fine, per quanto riguarda la mia arte, la pittura, ogni dipinto racconta tracce di verità, dei pezzi di verità della mia vita, dove poi ognuno si rispecchia.
La menzogna estetizzata può essere una forma di linguaggio, come diceva Oscar Wilde, “datemi una maschera e vi dirò la verità”, è come avere un mezzo di comunicazione alternativo, oltre il sipario, per raccontare la verità, è come per te oltre la tela. Già nella tua prima mostra dal titolo “Oltre i sensi” l’esattezza anatomica dei corpi sembra voler raccontare qualcosa che va oltre la pelle e nella direzione di una profondità inconfessabile. Le tue opere travolgono con la prepotenza di anatomie perfette, ma subito ci turbano con deformazioni che le corrompono.
Essendo maniacale nel mio lavoro, non li considero mai perfetti i corpi che dipingo, da addetto al lavoro in prima persona, riscontro tanti difetti che poi correggo man mano in ogni dipinto, ma quando rivedo quadri miei vecchi di qualche anno, vedo delle imperfezioni che magari qualcun altro non nota. La meticolosità è una delle sfaccettature che mi accompagna nella mia vita.
Devo dire che il corpo che viene corrotto da queste forme quasi mostruose date da deformazioni, hanno sempre accompagnato il mio lavoro sin dall’inizio, rispecchiano un po la parte oscura, quella che non viene messa in luce, e questo contrasto di luce e ombra fa nascere l’accostamento con Caravaggio, ma semplicemente perchè racconto una parte nascosta e una parte in luce. E’ qualcosa di evidente in ognuno di noi, semplicemente io lo traduco in pittura.
E questo è l’aspetto veramente contemporaneo della tua arte, la rappresentazione del malessere che vive l’uomo contemporaneo: in te diventa una metafora che può essere ora mostruosa, ora meccanica, una metafora che evoca la Vanitas e i simboli che alludono alla caducità della vita.
La fenomenologia dell’incarnazione e la rappresentazione del peso del corpo sono due concetti che nelle tue opere convivono mentre, per paradosso, rappresentano la Bellezza che vince sul Tempo. Il tuo dipinto “La Bellezza che uccide il Tempo” mi fa pensare a un paradosso: siamo abituati a riflettere sul contrario, cioè al Tempo che incide negativamente sulla Bellezza. Quella che teatralmente ci racconti con le tue opere è la voglia di riattivare bellezza e seduzione, nelle loro forme più pure, e quindi ancestrali, che forse nella nostra società abbiamo perso. Che valore ha per te questa forma di erotismo sacro, che descritto così, diventa concettuale?
Ecco, come hai detto tu, è sacro. Per me l’erotismo nei corpi è qualcosa di trascendentale, di divino, secondo me la Bellezza non ha sesso, il fatto di averla voluta immortalare in quel dipinto, “La Bellezza che uccide il Tempo”, è come volerla trasferire in un iperuranio. Tra l’altro quello è uno dei miei primi dipinti, ero ancora in accademia, e c’era già allora in me la voglia di rendere immortale un discorso, immortalare la pittura, ma la pittura contemporanea rappresentata con i mezzi antichi, una pratica che oggi purtroppo si è persa e fa parte di una serie di valori che appartengono alla nostra tradizione.
Marguerite Yourcenar, in “Fuochi”, nel monologo in cui dipinge la figura di Maria Maddalena, ad un certo punto le fa dire una frase per certi aspetti enigmatica e che mi trascina alla meditazione: “Quando conobbi la passione, dimenticai l’amore”. Come risuona in te questo apparente paradosso, noi occidentali siamo abituati a nobilitare l’amore, non la passione.
Comprendo benissimo, quando si viene rapiti dalla passione si può rimanere bruciati e affascinati da quel fuoco. Io sono contento di poterlo raccontare con i miei dipinti, perchè sono sempre vicende di vita, uno tra tanti è il dipinto “Nella morte avvinti” che ho fatto quando ho conosciuto la mia compagna, lì c’è stato l’apice della traduzione in pittura di tutto quel vortice di passione che stavo vivendo, amore e passione si sono fusi e la passione a volte ha preso anche il sopravvento. Chiaramente è tutto un alternarsi, tutto un avvicendarsi.
E questo è molto visibile nelle tue composizioni: nelle tue opere si rivela un forte desiderio di sentire e rappresentare i sentimenti, ci dai quasi l’opportunità di toccarli. Il momento storico che stiamo vivendo, la solitudine e la distanza sociale che tutti stiamo fronteggiando pensi che lasceranno un segno nella tua pittura e nella tua poetica?
Io all’inizio sottovalutavo l’idea dell’isolamento, forse come tutti, certamente mi rendevo conto della gravità della situazione, ma non ho subito realizzato quanto avrebbe inciso su di me.Adesso lo sto vedendo sui miei ultimi dipinti, per assurdo la tavolozza si sta schiarendo molto, stanno subentrando dei paesaggi, il cielo, penso sia la voglia di evadere! Di farsi una bella scampagnata! Sicuramente lascerà il segno, ma non a breve, non su quelli che stanno nascendo adesso, ma su quelli che verranno, quando avrò di fatto metabolizzato tutta la vicenda.
Chi è artista lo sa, l’isolamento in qualche modo l’abbiamo sempre vissuto, però è stata una scelta…
Una condizione naturale…
Adesso è un’imposizione e lascia il segno!
E’ l’obbligo di restare isolati che non suona bene!
Questa nostra conversazione è iniziata parlando di Verità. Una carriera artistica sin dall’inizio ti impone di essere sincero o di non esserlo, è una decisione.
La tua arte ti rende un artista “isolato”, un unicum nell’arte contemporanea. Qulcuno ti considera anacronistico altri ti associano a Caravaggio, certamente prima di giudicare bisogna prima conoscere. Inoltre è anche vero che chi dice la Verità spesso rimane da solo e naturalmente all’inizio della tua carriera avrai dovuto decidere quale sarebbe stata la tua cifra stilistica, la tua poetica. Questa scelta che deve essere coraggiosa, ci espone anche alla possibilità di essere accostati ai grandi del passato, Questo succede anche nel mondo della lirica, essere paragonati a Pier Luigi Pizzi o a Romeo Castellucci, è da ul lato un complimento, ma dall’altro nega la nostra originalità. Come è stato per te?
Ti dico che non è stata una scelta perchè è una cosa che mi accompagna fin da bambino, quindi non mi sono mai dovuto porre davanti a una scelta o un bivio, ho realizzato che sarei rimasto solo quando ho iniziato la mia carriera vera e propria. Sapevo di avere le armi giuste per poter combattere il mondo dell’arte contemporanea perchè sono sicuro del mio mezzo di espressione, conosco me stesso, non ce la faccio a non raccontare me stesso, voglio essere sincero nei miei quadri e penso che non potrò farne mai a meno.
Ne ho la conferma quando la gente mi dice che un mio quadro arriva come un pugno nello stomaco, e questa per me è la conferma di essere stato sincero con me stesso.
Da qualche anno a questa parte, quando ho conosciuto alcuni colleghi, con cui poi sono diventato amico, ho scoperto che, quello della sincerità, è un discorso che diventa comune, quindi ci si fa forza a vicenda. Però per un bel po di anni sono stato da solo, ecco, ma devo dire che mi sono fortificato le spalle.
E’ vero, si acquisisce sicurezza man mano che procede una carriera, anche grazie al consenso del pubblico, ma all’inizio è necessario un atto di coraggio, per definire la propria poetica, è questo che ci dà la lucidità nel saper discernere le critiche dalle provocazioni.
Basta anche trovare poi le persone che credono in te, che ti appoggiano, credono in quello che fai, nel tuo lavoro e nella tua carriera, è una bella spinta e aiuta molto.
In effetti noi siamo come Narciso, abbiamo bisogno di conferme per andare avanti. È curioso, ma molti, in modo particolare chi non fa parte del nostro ambito, ci vede come l’artista isolato, indipendente, ma un artista se non ha pubblico non ha parola, non ha modo di comunicare quello che sente, di fatto quello che facciamo, tutto quello che facciamo, è comunicare con una lingua diversa che non sia la parola, così è la musica, l’opera lirica, il cinema. Mi fai venire in mente Federico Fellini, quando si rivolgeva ai giovani registi, consigliandoli all’inizio della loro carriera, gli diceva che per raccontare una storia, dovevano partire da loro stessi, dalla loro storia familiare, solo così potevano essere sicuri di dire la verità e di essere unici. Nessuno, infatti, può guardare il mondo con le nostre lenti, se firmare un lavoro significa renderlo originale, è perchè andiamo all’origine di tutte le cose che ci appartengono. Solo se intraprendi un percorso di autoconoscenza puoi essere forte della tua personalità e della tua poetica.
Infatti, per quanto mi riguarda, questo modo di essere ha dato vita alla mia mostra, nel 2013, dedicata alla nota frase di Sant’Agostino, “Noli foras ire”, non uscire mai fuori da te stesso, perchè è dentro di te che ritrovi la verità, questo è stato uno dei motti che mi hanno accompagnato da sempre.