A cura di Laura Gobbi
Il bianco della pietra, l’argento delle foglie d’ulivo, il blu cobalto del cielo. Il rosso intenso del negroamaro. Il pantone Puglia ripete da millenni la sua magia. Il Salento attrae nel suo ventre, inspiegabilmente.
Nel cuore di questa terra, a 26 km di distanza da Lecce, tra distese di viti e di ulivi, c’è Nardò. Tante le leggende che raccontano della sua genesi, la più accreditata è quella del Tauro non bovi, un toro e non un bue che, raffigurato nello stemma della città con la zampa destra alzata, raspando il suolo, trovò una sorgente. Da qui l’etimologia dell’antico nome Neretum, dall’illirico Nar poi Ner, che significa proprio acqua.
Nardò, neretum, ner, negroamaro un’unica radice che affonda nel passato, nella storia di un Paese, di una regione e delle tante famiglie che queste terre, avide di sole, hanno legato a sé. Le stesse radici di quelle viti ad alberello che da secoli si aggrappano a questa terra e che solo mani esperte possono toccare. Mani che narrano, mani piene d’amore.
La “sconcatura”. Antica tecnica di coltivazione, elimina le radici in superficie e lascia quelle che vanno in profondità. Quelle che succhiano la linfa e restituiscono un vino tra i più antichi. La “sconcatura” è una filosofia di vita. Tenere solo quello che ci è utile per vivere.
A questa pratica, che ormai pochi sanno fare, e per questa pratica, per mantenere vivo un antico mestiere, nasce dall’entusiasmo delle famiglie Marra e Calabrese la cantina “Schola sarmenti”. Preservare la tradizione e tramandarla. La scuola della sconcatura. La poesia del negroamaro, nelle sue declinazioni in purezza o in blend, tradizionalmente con la malvasia nera o con il susumaniello, vengono raccontate nelle etichette della cantina Schola sarmenti. Ogni etichetta, pensata da Rosangela Marra, è un’ istantanea di vita.
Nerìo, da quel ner, un blend di negroamaro e malvasia nera, da una vigna di 50 anni nel bicchiere intriga con il frutto, affascina con le sue note speziate, incuriosisce per una vaga dolcezza appena accennata. Antieri, in dialetto: il caposquadra, colui che stava in avanti nei campi; 100% susumaniello, il portare avanti un vitigno che era dimenticato. Nauna 60%negroamaro 40% primitivo, il gioco dell’attesa. Il primitivo, la prima uva che viene raccolta, aspetta il negroamaro per poi avvolgere in un sorso maturo dalle note affumicate che sorprende il palato.
Il movimento turismo del Vino della Puglia segue il ritmo delle onde del mare. Un gioco sottile di seduzione e di stupore. Distese di terre coltivate e un sottofondo continuo di musica. Il vento. Quel vento che danza e ipnotizza, apre il respiro e avvolge il grappolo; l’aria circola e la terra riflette il caldo del sole. L’alchimia che restituisce quel «negro» per la sua forte intensità cromatica e «amaro» per la sua lunga macerazione sulle bucce.
Il Salento è come una porta aperta, l’invito ad entrare. Elegante, discreta, ampia, la masseria Li Veli di Cellino San Marco, ha percorso secoli. La bellezza delle masserie pugliesi, stringe come in un abbraccio. Da una costruzione tardo medievale, di cui rimangono tracce, diventa cantina ai primi del Novecento grazie al marchese Antonio de Viti che ne fece un modello virtuoso e d’ispirazione per tutto il Meridione di inizio secolo. La visione e la lungimiranza del marchese, economista leccese di fama internazionale, la cui immagine domina la sala da pranzo, arriva fino ad oggi con i nuovi proprietari, la famiglia Falvo, eredi putativi di questa cantina che, per rispetto e riconoscenza a coloro che nel passato hanno lavorato queste vigne, hanno siglato un patto con la storia, inserendo nel loro logo quattro croci. Due righe che si incrociano ritrovate negli antichi atti notarili, le firme di coloro che non sapevano scrivere, ma che si impegnavano a rispettare con onore la terra ed il loro lavoro.
Terra e mare. L’una scivola nell’altro. Il mar Ionio, a pochi km di distanza dalla città, bagna Santa Caterina, Sant’Isidoro e Santa Maria al Bagno, bellezze incastonate in angoli dall’ acqua cristallina. Per arrivarci, dal centro di Nardò, si attraversa la frazione di Cenate, e pare di sfogliare una rivista patinata di architettura. Nascoste tra la vegetazione o altere e imponenti per farsi guardare, le ville che accompagnano questa passeggiata fino al mare, sono un’incredibile carrellata di stili che si accostano in armonia. Dal Liberty, al Neoclassico, dal Moresco al Barocco fino al Roccocò. Le ville eclettiche di Nardò, simboli dello status sociale delle nobili e abbienti famiglie pugliesi, sono un rimando alla ricchezza di questa terra fatta di latifondisti, imprenditori e visionari.
Caratteristiche che il tempo non ha stemperato e sono ancora vivide nei tanti neretini come Antonello Rizzo, che dopo aver vissuto in giro per il mondo, torna nella sua Nardò, ristruttura le dimore storiche di famiglia e apre il primo albergo diffuso della zona. Soggiornare nelle stanze del relais Monastero Santa Teresa, raffinatezza familiare e semplice eleganza, riporta ad una storia non troppo lontana dell’aristocrazia del Regno di Napoli, delle Due Sicilie e di un mondo ecclesiastico fatto di fede, devozione, preghiere e di amori clandestini.
Non esiste incertezza in Salento. Tutto è ben definito. Colori, profumi, sapori e sensazioni hanno i contorni tracciati come i muretti a secco delle mille strade che si tuffano nel mare, che accompagnano in mezzo alle vigne che riportano nelle viscere di cantine sotterranee.
Il Salento, come il negroamro, è tutto d’un pezzo. Forti e rocciosi i sorrisi dei neretini che incontri e che riflettono la luce bianca di quella roccia che già da sola basta per raccontare leggende e miti.